Una Città278 / 2021
ottobre


Le ragioni che condussero i sei autori di “The God that Failed” alla rottura finale con il comunismo sono interessanti. Koestler, nell’ozio forzato di una prigione spagnola, si convinse dell’importanza dell’individuo. Silone, quando gli fu chiesto di partecipare alla condanna ufficiale di un documento scritto da Trotsky, chiese di vedere prima il documento; gli fu detto che non poteva vederlo, ma che la disciplina di partito richiedeva che egli dovesse condannarlo ugualmente... André Gide fu soprattutto spaventato dall’idolatria di Stalin e dalla mancanza di libertà intellettuale o artistica... Spender, che fu membro del Partito solo per brevissimo tempo, fu disgustato dai metodi che i comunisti impiegavano per soggiogare altri gruppi fra i realisti spagnoli, che furono anche la causa determinante della rivolta finale di Arthur Koestler contro l’ortodossia del Partito. Da parte mia, mentre considero che questi sono tutti motivi di critica, a me sembrano... riguardare piuttosto i sintomi che non la causa fondamentale della malattia. La causa fondamentale è a mio parere il dogmatismo, nonché l’assenza completa di bontà d’animo. È proprio la combinazione di questi due difetti, uno intellettuale
e l’altro morale, che sembrò giustificare la dittatura e l’uso di mezzi crudeli per rafforzarne il successo.
Bertrand Russell
(tratto da “L’errore intellettuale del comunismo”, in La Critica Sociale, n. 14, 16 luglio 1950)

ottobre 2021

La minaccia Trump
Sui pericoli che corrono gli Stati Uniti
Intervista a Michael Kazin

I centri della città
Sul destino della città dopo la pandemia
Intervista a Cristina Tajani

Essere un po’ rivoluzionari per fare le cose normali
Di giustizia e carcere
Intervista a Carmelo Cantone

Insegnare a fare le domande
Sulla questione della formazione degli insegnanti
Conversazione tra Clotilde Pontecorvo e Anna Lona

Per una comunità di pratica professionale
Di Vittoria Gallina

Una possibile proposta
Di Nicoletta Lanciano

Reclutamento e formazione iniziale
Di Andrea Gavosto

Le aquile randagie
La storia di un gruppo di ragazzi straordinari
Intervista a Carlo Valentini

La domanda di filosofia
Sul sapere filosofico e il suo insegnamento
Intervista a Diego Marconi

Contro ogni dittatura
Di Alessandro Giacone

Veni foras
Sulla scena del parto nel Medioevo
Intervista a Alessandra Foscati

Croce individuo liberale?
Alfonso Berardinelli

Sulla tecnologia Ccs
Giovanni Damiani

Tra telepass e caffè mobili...
Emanuele Maspoli

La quarta globalizzazione
Massimo Livi Bacci

Venti sterline
Belona Greenwood

Non si può più parlare di Tiananmen
Ilaria Maria Sala

La visita è alla tomba di Ursula Hirschmann
 


In copertina un frammento di una vecchia foto degli anni Cinquanta. Siamo a Berlino all’assemblea fondativa del Congresso per la libertà della cultura, nato per associare scrittori, intellettuali e artisti di tutto il mondo in una lotta per la difesa del “libero pensiero”, contro ogni tipo di dittatura e di totalitarismo. In questo numero pubblichiamo la prefazione al libro di Roselyne Chenu (tradotto ed edito da “Una città”) che del Congresso fu una delle principali organizzatrici. è una cronaca di tutto quello che fecero in venticinque anni, ma basterebbe leggere l’indice dei nomi per restare impressionati e per far apparire lo “scandalo” del 1967, la rivelazione che parte dei finanziamenti venivano dalla Cia attraverso alcune fondazioni americane, una cosa del tutto insignificante. Fra l’altro pare che, fra le centinaia di associati, solo due persone (brave e stimatissime, del resto) sapessero della cosa, ma la notizia fu sufficiente, tuttavia, a scatenare una campagna denigratoria da parte dei partiti comunisti europei e dei loro compagni di strada, che non si erano mai fatti scrupolo, e non se ne faranno per altri decenni, di ricevere finanziamenti da Stalin e dai suoi successori. Ma lo stigma è rimasto fin quasi ai giorni nostri. Del resto si sa: solo la storia ha reso l’onore dovuto a chi, in tempi così bui, si impegnò per la libertà degli altri. Viene da pensare a quanto  servirebbe oggi un simile impegno in un mondo che per metà sta sotto dittatura, non importa di che colore. Non passa giorno che non arrivino notizie di persone, intellettuali, artisti, oppositori, giovani donne desiderose di studiare, costrette a tacere, sepolte in carcere, torturate, spesso uccise. Sì, ci vorrebbe un altro Congresso.

La pandemia e i mesi di smart working coatto hanno fatto da catalizzatore ad alcuni processi di ripensamento delle città alla luce di un rinnovato bisogno di vicinato, ma anche di attenzione ai temi ambientali; Cristina Tajani ci parla dell’esperienza di Milano con il progetto di riqualificazione dei mercati comunali e la scuola dei quartieri, della figura dell’innovatore sociale, ma soprattutto dell’importanza di guardare ai cittadini come portatori di soluzioni prima che di problemi.

Una lunga conversazione tra la pedagoga Clotilde Pontecorvo e Anna Lona, già maestra elementare e formatrice, apre un dossier sulla scuola e in particolare sull’inadeguatezza dell’attuale sistema di formazione degli insegnanti delle secondarie, che tradisce l’idea, ancora invalsa, che basti conoscere una materia per saperla insegnare. Seguono gli interventi di Vittoria Gallina, Nicoletta Lanciano e Andrea Gavosto.

Nella scena del parto medievale, affollata di donne, con i mariti fuori a pregare che sia un maschio, centrale è la figura dell’ostetrica. Alessandra Foscati, attraverso lo studio delle storie dei miracoli, dei testi medici ma anche giuridici, ci racconta, tra le altre cose, la vicenda del parto cesareo, che venne adottato originariamente per estrarre il bambino dalla madre già morta, per salvare l’anima del neonato o, più spesso, per trasferire l’eredità dalla madre al padre.

Gli interventi sono di Alfonso Berardinelli, Massimo Livi Bacci e Giovanni Damiani, le lettere di Belona Greenwood, Ilaria Maria Sala ed Emanuele Maspoli.
La “visita” è alla tomba di Ursula Hirschmann.