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decina, una ventina di persone alle quali
continua a riferire. In questo contesto si è
deciso di organizzare una visita nelle varie
capitali, principalmente per riunire i sim-
patizzanti di questa iniziativa per rivedere
le persone venute a Verona, ma anche quel-
le che non hanno potuto venire ma sono in-
teressate, e per organizzare incontri con
autorità e rappresentanze varie.
Il viaggio è stato a composizione variabile
perché non tutti potevano essere presenti a
tutte le tappe del percorso; una decina di
persone ha partecipato all’intero viaggio
che ci ha portato a Zagabria, Lubiana, poi a
Skopje in Macedonia, a Pristina nel Kosso-
vo, a Ostrid, sempre in Macedonia, in occa-
sione della Conferenza di pace delle cittadi-
ne e delle municipalità, e infine a Belgrado.
Cerco di riassumere l’essenziale di quello
che abbiamo visto.
La lezione bosniaca
La cosa principale che vorrei dire è che io
credo, purtroppo, che se non c’è una forte
attività a tutti i livelli, in particolare a
quelli politici, in tempi molto brevi la guer-
ra che ora si combatte in Bosnia si aprirà
anche al sud, verso la Macedonia o il Kos-
sovo. Innanzitutto tra Serbia e Croazia è
abbastanza probabile che oramai vi sia una
ferma volontà di spartizione della Bosnia-
Erzegovina. La Serbia si prenderebbe la
parte più grande; alla Croazia andrebbe la
parte più piccola. Si discute se lasciare ai
cosiddetti musulmani, cioè ai bosniaci di
cultura e in parte di religione musulmana,
degli spazi più piccoli. Ma, insomma, la di-
struzione di questa mini Jugoslavia che era
la Bosnia-Erzegovina come stato multietni-
co è oggi molto avanzata. La Comunità eu-
ropea e l’Onu cercano di proporre una solu-
zione intermedia: cioè di ricostituire una
BiH unitaria, con dei cantoni, con delle pro-
vince più o meno etniche. Si discute ancora
su quanto dovrebbero essere etniche.
Il nodo di fondo, che pare ai miei occhi la
chiave di tutta questa guerra e di ciò che ne
potrà seguire, è che si sta affermando, in
teoria e in pratica, la dottrina secondo la
quale un’etnia deve stare sul proprio terri-
torio e non su un altro. È ciò che oggi viene
chiamato “epurazione etnica”. Sta passan-
do il principio che dove sta un popolo altri
non ci possono stare. Questa è poi la ragio-
ne per cui io non ero favorevole alla seces-
sione, se non negoziata, delle Repubbliche.
L’idea di epurazione etnica sta sicuramente
innanzitutto in chi vuole uccidere e stermi-
nare, cacciare gli altri, ma anche in chi cer-
ca degli ordinamenti politici che evitino le
complicazioni della convivenza.
Se oggi in Bosnia-Erzegovina, e poi nel re-
sto della ex-Jugoslavia, passa -e purtroppo
sta passando con la forza delle armi- il prin-
cipio dell’epurazione etnica, si apriranno
conflitti molto duraturi, e temo anche san-
guinosi, che per ora interessano l’Europa
sud orientale, l’area balcanica, ma potreb-
bero coinvolgere anche i paesi baltici. Pen-
sate cosa vuol dire, per esempio, il fatto che
ci siano consistenti popolazioni russe emi-
grate negli ultimi decenni negli stati balti-
ci. Pensate ai conflitti tra Polonia, Lituania,
ecc. Pensate alla questione che si sta apren-
do adesso, anche per l’Italia, delle persone
cacciate dopo la Seconda guerra mondiale.
Sono polacchi, tedeschi, ungheresi cacciati
da una parte e dirottati in un’altra.
Si va verso una situazione in cui si rimetto-
no in discussione e si rinegoziano i confini
politici statali e i confini etnici -le cose non
sempre devono coincidere. In una fase in
cui i confini sono mobili, chiunque abbia un
vecchio conto da saldare, un conto magari
molto doloroso (non voglio togliere a nessu-
no il peso del proprio dolore) o semplice-
mente la speranza di essere abbastanza
forte, di poter conquistare nuovi territori,
cercherà di muoversi per primo. Vedo oggi
un pericolo molto grave per la pace in Eu-
ropa e in generale nel mondo. Non è solo
una questione jugoslava, balcanica. Oggi
chi lavora sulla pace, sul tema della convi-
venza, deve approfondire molto la questio-
ne dell’esclusivismo etnico. Questo riguar-
da anche le nostre società. Rischia di preva-
lere l’idea che in ogni luogo possa stare solo
un’etnia e che ogni convivenza non può che
portare conflitti, pertanto è meglio evitarla.
Epurazione etnica e profughi
Tornando alle risultanze della visita nella
ex-Jugoslavia, credo di poter dire, secondo
testimonianze e informazioni temo attendi-
bili, ci sono qualcosa come tra 60.000 e
100.000 morti in Bosnia-Erzegovina. Forse
addirittura di più perché ci sono molte per-
sone disperse. La grande maggioranza, for-
se il 90% di questi morti, sarebbero musul-
mani. Lo sottolineo per due ragioni: un po’
perché i musulmani sono in questo conflitto
la parte che non ha un potente vicino, quin-
di più esposta all’aggressione; un po’ anche
perché non è da sottovalutare cosa significa
questo per tutto il mondo islamico. Questi
musulmani non sono stati finora “cultural-
mente musulmani”, era più un’eredità, una
tradizione che voleva dire “slavo-islamizza-
to non particolarmente schierato né da par-
te croata né da parte serba”. Infatti scrivo-
no con lettere latine, la loro lingua era an-
cora serbo-croata; infine parliamo di popo-
lazione molto urbanizzata. Così come nel
mio piccolo Alto Adige le città sono più ita-
liane, così durante la conquista turca, ven-
gono islamizzate le città perché è lì che si
insediano i nuovi padroni, è lì che l’influen-
za culturale delle potenze conquistatrici è
più forte. Le campagne rimangono in gene-
re quello che erano prima, dovunque.
Ecco, il fatto che questi musulmani adesso
siano come obbligati a fare della loro “mu-
sulmanità” l’elemento anche politico che li
distingue, li spinge inevitabilmente molto
al di là di quello che loro vorrebbero. Inco-
minciano a dire: “Se vogliamo fare gli isla-
mici, facciamolo davvero”. Vengono così sti-
molati gli integralismi religiosi e un senso
della differenza. Proprio com’è successo agli
ebrei: molti ebrei secolarizzati, assimilati,
di fronte alla persecuzione, o anche di fron-
te all’antisemitismo risorgente, sono diven-
tati militanti ebrei, molto più di quanto non
lo fossero mai stati prima. Questo significa
che il mondo islamico potrà dire che “in Eu-
ropa possono macellare impunemente i mu-
sulmani”, dopo che già l’Europa si mostra
quasi insensibile alla sorte dei palestinesi.
Anche questo avrà delle conseguenze molto
gravi. In particolare, dal punto di vista cul-
turale, si rischia di accentuare una distan-
za tra mondo “cristiano” (anche qui in senso
culturale, non religioso) e mondo “islamico”.
Dal punto di vista geopolitico significa che
chi rappresenterà, in qualche modo, un po-
tenziale scudo islamico diventerà un punto
di attrazione molto forte. Nell’immediato
sarà probabilmente la Turchia, ma poi po-
trà essere qualcun altro, l’Arabia Saudita,
l’Iran, la Libia. È un elemento che renderà
molto più difficile anche l’integrazione eu-
ropea, una nuova Europa.
Sono tutte cose che ci riguardano.
Poi sarà la volta del Kossovo
Il Kossovo è una regione molto grande in
vedo un pericolo grave per la pace
in Europa e in generale nel mondo.
Non è solo una questione jugoslava
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