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Supplemento al n. 223 di Una città. Rotocalco culturale.Anno XXV, Dir. resp. Gianni Saporetti.Aut.Trib. di Forlì n. 3/91 del 18/2/91. Stampa: Galeati (Imola). Redaz. e amministraz.: via DucaValentino n.11, Forlì. Poste Italiane SpA - Sped. inA. P. D.L. 353/2003 (conv. in L.27/02/04 n.46)Art. 1 c.1 CN/FC, n. 224/2015 -Tassa pagata
Dedica di Safet Zec
Dall’estate del 1995 porto con me la pa-
gina di “Repubblica” che annunciava la
tragica fine del giovane giornalista ita-
liano e parlamentare europeo Alexander
Langer. Egli aveva lasciato scritto di
non poter più sopportare l’incompren-
sione e l’osservazione da parte della co-
munità internazionale della “tragedia
bosniaca”, la più terribile e la più san-
guinosa dalla Seconda guerra mondiale.
Alexander e la sua morte improvvisa so-
no la prova evidente che tutti sapevano
tutto, hanno guardato e permesso questa
sciagura, questa ingiustizia. Perciò desi-
dero dedicargli, forse con ritardo, questa
mostra. Onore a lui! Non dimentichere-
mo mai la sua scomparsa valorosa, tragi-
ca e prematura.
Fin qui la dedica ad Alexander che ho
scritto per il catalogo della grande mo-
stra a Sarajevo (assieme al collega Halil
Tikvesa), al Collegium Artisticum, nel
luglio 2009. Era una mostra intitolata
“11 luglio”, in memoria di quel terribile
giorno del 1995, data che verrà poi di-
chiarata “Giornata europea della memo-
ria del genocidio di Srebrenica”. Della
triste scomparsa di Alexander Langer
avevo appreso dai giornali in quei giorni
d’estate del 1995, giorni in cui la trage-
dia bosniaca era ancora in corso e non
si vedeva ancora la fine di questo assur-
do male.
Ci chiedevamo tutti disperati, come fos-
se possibile che il mondo non volesse ve-
dere quanto stava succedendo, tutta
quell’ingiustizia, il massacro, il genoci-
dio di un popolo. Perché, pensavamo, al-
trimenti il mondo e la comunità interna-
zionale non lo avrebbero certo permesso.
Quale ingenuità! Naturalmente, nel
profondo dei nostri cuori, sapevamo che
tutti sapevano tutto, e che tutto questo
veniva osservato e stava accadendo nel
quadro di un progetto! La tua dipartita,
caro Alexander, in quei giorni d’estate
del 1995, non ha fatto che confermarce-
lo. La tua lotta con la indecisa, divisa,
burocratizzata Comunità europea, è sta-
ta impari e vana!
Oggi saremmo stati sicuramente insie-
me, avremmo aperto questa nostra mo-
stra nel bel palazzo trevigiano. Avresti
arricchito la tua convinzione, il tuo amo-
re e la tua comprensione verso un popo-
lo, verso la Bosnia-Erzegovina.
Ci manchi, caro Alexander, adesso, oggi,
stasera, come ci manca ogni uomo, ogni
persona di umanità, di cultura, di tolle-
ranza, ogni “combattente”, come te, per
un mondo giusto e migliore... Grazie.
Safet, con Gorcin, Hana e Ivanka
Treviso, 15 novembre 2014
Caro Alexander Langer
Alcuni quadri di Safet Zec ci hanno accompagnato e protetto nei giorni di Tuzla. Nella foto, il concerto di chiusura degli ensemble Namaste e Balsika
Safet Zec
Safet Zec (Rogatica, 1943) è una delle figure più si-
gnificative della ricerca artistica del nostro tempo.
A partire dalle prime opere a Sarajevo alla fine de-
gli anni Cinquanta il suo è un lavoro confrontabile
con quello del minatore. Scende negli strati profon-
di per scavare la materia dalla quale trae origine
la vita delle forme. Torna su, la porta con sé, la fa
arrivare in superficie e la mette in luce. Ci aiuta
così a domandarci di che cosa sono fatti i pezzi del
mondo che sta intorno a noi e di che cosa siamo fat-
ti noi stessi. La sua biografia, segnata dai contesti
geografici, dagli scarti storici, dalle radicali modi-
ficazioni culturali del secondo Novecento, ha trova-
to nel lavoro artistico il suo mestiere di vivere, e
nella solitudine operosa la traccia continua che
rende indistinguibili, avvolte nella stessa vicenda
dolente e riservata, le ragioni della ricerca artistica
e della tensione civile.
(Tratto da
La pittura come miniera
, presentazione di
Domenico Luciani della Mostra dedicata ad Alexan-
der Langer aperta a Treviso nel novembre 2014, spazi
Bomben).
Scena finale del Don Quijote a Tuzla
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