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A partire da aprile 1992, tutta la Bosnia
nord-orientale è stata teatro di una estesa
operazione di pulizia etnica ai danni dei
musulmani bosniaci (bosgnacchi), conge-
gnata dall’establishment politico della Re-
publika Srpska, esplicitata nei cosiddetti
“obiettivi strategici” del 1992 e realizzata
inizialmente dalle forze di polizia del Mini-
stero dell’Interno della Republika Srpska
(Mup) con il supporto e la collaborazione
del Ministero dell’Interno della Serbia (ad-
destramento dei gruppi di paramilitari ser-
bi e serbo-bosniaci, fornitura di supporto lo-
gistico, di intelligence e messa a disposizio-
ne di ufficiali di collegamento) e dell’Eser-
cito Popolare Jugoslavo (fornitura di armi e
logistica per armare la popolazione serbo-
bosniaca e l’Esercito della Republika
Srpska Vrs). Il massacro di Skocic, villaggio
abitato prevalentemente da rom musulma-
ni, situato nella Municipalità di Zvornik, ai
confini con la Serbia, è uno dei tanti crimini
di guerra commessi nell’ambito delle puli-
zie etniche del ’92.
Zijo Ribic, sopravvissuto al massacro del
villaggio, nel 2005 entra in contatto con Na-
tasa Kandic, premio Alexander Langer
2000 e fondatrice del “Humanitarian Law
Center” di Belgrado. Decide di raccontare
la sua storia e denunciare gli autori dello
sterminio della sua famiglia e del suo vil-
laggio. Grazie al sostegno e all’assistenza
della Kandic e della sua organizzazione,
vengono intraprese le indagini e nel 2009
inizia, a Belgrado, il processo contro gli au-
tori del massacro di Skocic. Zijo è il primo
rom ad aver portato in tribunale la questio-
ne del genocidio del suo popolo. Un genoci-
dio dimenticato, passato in secondo piano
sia durante la Shoah, che durante le guerre
jugoslave degli anni Novanta: dei 45.000
rom che vivevano in Bosnia orientale, oltre
30.000 sono stati oggetto di pulizia etnica
durante la guerra.
“Mi dissero che avrei visto subito mia ma-
dre... e hanno sparato. Ho rivisto quelle
persone dopo 20 anni... mi ricordo le loro
facce, li ho riconosciuti in tribunale. Loro
mi hanno massacrato la famiglia. Non so se
li odio... I miei genitori non mi hanno inse-
gnato a odiare, perciò questo sentimento
non mi appartiene. Anche dopo tanti anni
mi ricordo tutto... come se fosse successo ie-
ri. Mi ricordo quando sono arrivati e ci han-
no presi. Prima ci hanno picchiati, cercando
oro e armi. Hanno detto che non ci avrebbe-
ro fatto niente. Ci hanno raggruppati tutti
davanti alla casa... hanno stuprato mia so-
rella maggiore Zlatija e io ho visto tutto...
poi sono arrivati due camion nei quali ci
hanno caricati e portati in un villaggio vici-
no dove avevano già scavato una fossa co-
mune. Ci hanno fatti scendere uno alla vol-
ta; prima mia madre e mio fratello, poi sono
venuti a prendere me. Avevano appena fi-
nito di stuprare nuovamente mia sorella. Io
piangevo, chiedendo di vedere mia madre.
Mi risposero che l’avrei vista subito. Poi, in
fila è arrivato il mio turno. Ho sentito degli
spari e un fendente di lama nel collo. Ho
fatto finta di essere morto. E mi hanno get-
tato nella fossa insieme agli altri che ave-
vano appena ammazzato”.
Zijo è rimasto per qualche tempo nascosto
tra i cadaveri e poi è riuscito a raggiungere
il bordo della fossa e a scappare nei boschi
circostanti, dove ha vagato sotto shock per
qualche tempo. Dopo aver pernottato in
una casa abbandonata, il giorno dopo ha
raggiunto un villaggio dove ha incontrato
una donna che sbrigava delle faccende
nell’orto e le ha chiesto aiuto. Questa, spa-
ventata dalla vista di un ragazzino di sette
anni coperto di sangue, ha chiamato i due
uomini della famiglia: due soldati serbo-bo-
sniaci dell’Esercito Popolare Jugoslavo. “Mi
hanno soccorso subito... mi hanno lavato,
medicato e dato da mangiare. Mi hanno da-
to dei vestiti puliti e poi mi hanno portato
a Kozluk in infermeria. Lì ho visto le stesse
persone che la sera prima avevano ucciso i
miei familiari. Mi sono aggrappato ai due
soldati che mi avevano salvato”.
Il comandante dei paramilitari e una ra-
gazza arruolata nella stessa formazione
cetnika cercarono di portarlo via, ma i due
soldati si rifiutarono di lasciarlo e lo con-
dussero invece all’ospedale di Zvornik, dove
rimase fino a ottobre ’95, quando, grazie
all’intervento di una Ong internazionale,
venne ricoverato nell’istituto “Dr. S. Milo-
sevic” di Igalo (Montenegro). Era pesante-
mente traumatizzato da quello che aveva
vissuto. “Dovevo rimanere nell’istituto solo
qualche mese e invece ci sono rimasto fino
al ’96. Dovevo curarmi. Poi, grazie a un pro-
getto dell’Unicef, sono stato portato in un
orfanotrofio, il ‘Mladost’ a Bijeloj, sempre in
Montenegro”. Dopo cinque anni trascorsi a
Bijeloj, Zijo viene rimandato in Bosnia-Er-
zegovina, nell’orfanotrofio di Tuzla. A Tuzla
si diploma presso la scuola alberghiera, di-
ventando cuoco. Nel 2005 Zijo esce dall’or-
fanotrofio e per i due anni successivi viene
ospitato da Tuzlanska Amica, a Casa Pap-
pagallo, una struttura per i ragazzi maggio-
renni che, usciti dall’orfanotrofio, non han-
no dove altro andare.
Il processo iniziato nel 2009 si è concluso a
febbraio 2013 con la condanna in primo
grado dei sette imputati appartenenti alla
formazione paramilitare soprannominata
“I cetnici di Simo” a complessivi 72 anni di
carcere (Zoran Durdevic e Zoran Stojanovic
a 20 anni, Zoran Alic e Tomislav Gavric a
10 anni, Dragana Dekic e Dorde Sevic a 5
anni e Damir Bogdanovic a 2 anni), per cri-
mini di guerra contro la popolazione civile
del villaggio di Skocic. Gli imputati hanno
fatto ricorso e a giugno del 2015 la Corte di
Appello del Tribunale di Belgrado li ha pro-
sciolti, con la motivazione che riguardo al-
l’uccisione di civili del villaggio di Skocic
(fatto acclarato e non messo in discussione
in secondo grado) gli imputati erano pre-
senti sul luogo del massacro, ma l’accusa
non è stata in grado di fornire prove suffi-
cienti per determinare la loro responsabili-
tà individuale.
Zijo ha incontrato più volte -faccia a faccia-
i paramilitari. “Ho rinunciato allo status di
testimone protetto perché volevo vedere se
riuscivano a guardarmi negli occhi. La pri-
ma volta che ho rivisto il comandante della
squadriglia mi è passato di tutto per la te-
sta. Poi ho pensato che se mi facevo vincere
dall’odio sarei diventato uguale a loro. A
me non hanno insegnato a odiare. Non pos-
so e non voglio dimenticare quello che è
successo alla mia famiglia e al mio villag-
gio. Ma posso decidere di non odiare. È dif-
ficile. Ma da qualche parte dentro di te puoi
trovare la forza di non odiare. Quando il
giudice ha letto la sentenza che scagionava
gli autori del massacro, questi mi hanno ri-
so in faccia. Mi veniva da piangere e non
volevo. Come si fa a rimanere normali in
queste situazioni ? Io voglio rimanere nor-
male. Io non voglio odiare”.
Andrea Rizza Goldstein
Testimonianza di Zijo Ribic
Io non odio
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