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Giorgio Mezzalira, insegnante al Franzi-
skanergymnasium di Bolzano, storico, pub-
blicista, ha pubblicato numerosi studi di
storia regionale dell’età contemporanea.
Nell’estate del 1991 lo scoppio della guerra
nell’ex-Jugoslavia colpiva un’Europa che
dalla fine del secondo conflitto mondiale
aveva vissuto un lungo periodo di pace.
Erano stati scossi alle fondamenta gli equi-
libri della “guerra fredda”; il crollo dell’im-
pero sovietico e i nuovi venti indipendenti-
sti avevano accelerato i cambiamenti in
corso nel nostro continente, interessato pro-
prio in quel torno di tempo dal processo di
unificazione europea. Venivano ridefiniti i
baricentri politici ed economici, la cartina
dell’Europa si sarebbe ridisegnata.
Simili trasformazioni interrogavano anche
la storia, in particolare si segnalava il rie-
mergere prepotente della questione delle
minoranze e dei conflitti tra nazionalità nel
vecchio continente. Bodo von Borries, stori-
co germanico, incaricato di elaborare il pro-
getto “Youth and History - The Comparati-
ve European Study on Historical Consciou-
sness Among Teen-Agers” (uno studio com-
parativo sulla coscienza storica dei giovani
che si sarebbe svolto nella prima metà degli
anni Novanta in oltre 30 stati europei e che
avrebbe coinvolto più di 30.000 studenti
delle prime classi della scuola superiore)
scriveva nei suoi primi appunti al progetto
nel luglio 1991: “Konflikte wie der zwischen
Serben und Kroaten sind maßgeblich durch
verschiedene Wahrnehmungen der gemein-
samen - wie der getrennten - Geschichte ge-
prägt”
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. Ricordava in tal modo, con un esem-
pio tratto dalla cronaca di allora, sia la cen-
tralità della storia come parte costitutiva
dell’identità delle nazioni e della fondazio-
ne degli stati, sia l’incidenza della rielabo-
razione storica nell’alimentare conflitti o,
all’opposto, nel favorire processi di integra-
zione.
Tenendo presente che una simile riflessione
può essere fatta anche nei confronti della
memoria e del suo ruolo, appaiono imme-
diatamente chiari i contorni della comples-
sità e del valore del progetto portato avanti
a Srebrenica da giovani serbi e bosniaci per
la creazione di un centro interculturale
(“Adopt, Srebrenica”).
Tra storia e memoria
Perché una comunità dovrebbe avere una
memoria comune? La ragione è che la me-
moria costruisce l’identità e l’appartenenza,
risponde lo storico Giuseppe Ricuperati. E
aggiunge che ognuno di noi sa che deve pa-
gare un prezzo sia all’identità, sia all’ap-
partenenza, che lo legano a un sistema di
diritti e doveri. Lo legano prima razional-
mente, nella misura in cui il soggetto è cit-
tadino di un paese, e poi perché il soggetto
è costretto a prendersi carico di una parte
di memoria e di storia del paese a cui ap-
partiene. Viene identificato anche attraver-
so questo carico che è talvolta vincolante,
rischioso e doloroso, perché si può essere
considerati nemici e caricati di responsabi-
lità che non si sono mai assunte diretta-
mente. Questo può renderci prigionieri di
stereotipi, da cui magari singolarmente co-
me individui siamo lontani
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.
La costruzione di una memoria comune è
un processo che deve saper rispettare la
pluralità delle memorie; anche mossi dalle
più buone intenzioni, non si può chiedere
agli individui di abdicare alla propria me-
moria per appropriarsi di quelle di altri o
trovare un compromesso con quella del vi-
cino; il rischio che simili operazioni siano
interpretate come modalità per cancellare
la memoria o comunque annacquarla è mol-
to alto. Ciò che l’esperienza storica insegna
è che la memoria non è negoziabile e, a dif-
ferenza della storia, si presenta come un
passato chiuso, dato una volta per tutte, un
patrimonio da custodire, da valorizzare e
arricchire ma da non intaccare.
Il problema allora non è tanto quello delle
memorie divise con cui è inevitabile e salu-
tare convivere, quanto far sì che tali memo-
rie possano poggiare su una storia che sap-
pia mettere sul tavolo tutti gli elementi di
complessità propri della ricostruzione e del-
la narrazione storica; una storia che deve
essere considerata non tanto come somma
algebrica di tutto ciò che ci accomuna, di-
menticando quello che ci ha diviso, ma co-
me costruzione di tutte le vicende che han-
no portato a determinate conclusioni, anche
se drammatiche. Tutto ciò rammentando
che il rapporto tra storia e memoria è di in-
terazione e non di contrapposizione né di
identificazione.
Tra memoria e oblio
Nelle zone di confine, luoghi dove possono
alternativamente disporsi le ragioni del
conflitto oppure proporsi quelle della convi-
venza, anche le memorie possono presen-
tarsi
condivise
oppure
con le divise
dei ri-
spettivi blocchi identitari, etnici; schiera-
menti che non solo rivendicano alterità e
distanza l’uno dall’altro, ma sono in grado
di ingaggiare una loro personale battaglia
per difendere la propria memoria/identità e
sconfiggere quella degli altri, annullandola
o cancellandola.
Le memorie divise, e noi in Sudtirolo ne
la costruzione di una memoria
comune deve saper rispettare
la pluralità delle memorie
Intervento di Giorgio Mezzalira
Tra storia e memoria:
conflitto, oblio e conciliazione
Le gabbie etniche:
dal Sudtirolo alla Bosnia-Erzegovina
Nel 1980 Alexander Langer, eletto in Consiglio provinciale a Bolzano, avviò una dura
campagna di mobilitazione pubblica per evitare una norma di attuazione di quello Sta-
tuto che imponeva, nell’imminente censimento della popolazione, una dichiarazione di
appartenenza nominativa a uno dei tre gruppi riconosciuti. Si rifiutò con molti di ade-
rire a quella che considerava una pericolosa schedatura etnica. Ancora nel maggio del
1995 fu indebitamente escluso dal diritto a candidarsi a sindaco della sua città.
Ma già il 1° febbraio 1995 il Consiglio d’Europa, sotto l’influsso di ciò che già si vedeva
in ex-Jugoslavia, aveva approvato una rivoluzionaria “Convenzione quadro per la tutela
delle minoranze nazionali”, parte integrante della protezione internazionale dei diritti
dell’uomo, in cui si precisava all’art. 3 che “
Ogni persona che appartiene a una mino-
ranza nazionale ha diritto di scegliere liberamente se essere trattata o non trattata in
quanto tale e nessuno svantaggio dovrà risultare da questa scelta o dall’esercizio dei di-
ritti a essa connessi
”. Una Convenzione ora recepita dalle Costituzioni dei paesi che aspi-
rano a entrare in Europa, anche se il percorso della sua concreta attuazione è lontano
dall’essere completato o anche solo percepito come un diritto fondamentale da parte dei
singoli cittadini. Ne ha comunque beneficiato anche il Sudtirolo che nel 2004 è stato co-
stretto, sotto minaccia di infrazione comunitaria, a ritornare a un censimento anonimo.
È in nome di questi stessi principi che la Corte europea dei diritti dell’uomo ha emesso
il 22 dicembre 2009 una sentenza favorevole al ricorso di Jakob Finci, esponente di ri-
lievo della piccola comunità ebraica bosniaca, e di Dervo Sejdic, uno dei leader di quella
rom, che erano stati esclusi dalla candidatura alle elezioni presidenziali e alla Camera
dei Popoli perché la candidatura e l’accesso a queste cariche dello Stato è riservata so-
lamente a chi si dichiara appartenente a uno dei tre popoli costitutivi della Bosnia-Er-
zegovina. L’applicazione della sentenza rimane una delle condizioni poste nella proce-
dura d’ingresso del paese nell’Unione Europea.
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