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Primo Levi: il silenzio e la vergogna
Nell’estate del 2014 vari incontri a Tuzla,
Srebrenica e Sarajevo hanno proposto la
ricchezza di pensiero e l’attualità del grande
scrittore e testimone di Auschwitz.
L’opera di Primo Levi non è molto conosciu-
ta nei paesi nati dalla dissoluzione della ex-
Jugoslavia. L’uscita di
Se questo è un uomo
-il racconto della deportazione ad Au-
schwitz fra il ’44 e il ’45- avvenuta a Zaga-
bria nel 1992, ha coinciso con il precipitare
della guerra. Le poesie sono state tradotte
un anno dopo, quando la crisi si era ulte-
riormente aggravata. L’edizione de
I som-
mersi e i salvati
-fra i libri più profondi
sull’esperienza della deportazione imposta
dai nazisti- è stata pubblicata a Belgrado
nel 2002, ma ha avuto una diffusione limi-
tata quasi solo alla Serbia.
A questo si aggiunga che, in tutto il periodo
precedente, la Jugoslavia di Tito aveva mo-
strato per lo sterminio degli ebrei durante
la Seconda guerra mondiale ben poca atten-
zione, rendendo assai problematica la rice-
zione delle testimonianze scritte dai so-
pravvissuti: a far prevalere la propria in-
fluenza erano state viceversa la memoria
ufficiale della deportazione politica e le fe-
rite mai rimarginate provocate nella co-
scienza profonda della popolazione dai na-
zionalismi scatenatisi durante il conflitto.
Poi, tra la fine degli anni 80 e l’inizio degli
anni 90, mentre il resto d’Europa, investito
dal crollo del comunismo, cominciava final-
mente a interrogarsi sulle reali dimensioni
e sulle responsabilità della tragedia ebrai-
ca, i deboli tentativi -come appunto le pri-
me traduzioni di Levi- avviati nella mede-
sima direzione anche nel paese balcanico
hanno finito per essere travolti nel gorgo
della sua inarrestabile disintegrazione.
La mancata elaborazione di quanto sia sta-
ta aberrante la persecuzione di razza per-
petrata dai nazisti e dai loro alleati anche
in Jugoslavia -una persecuzione motivata
dal fatto che gli ebrei
fossero
ebrei e non
che avessero commesso una qualsiasi colpa-
può dunque essere considerata un dato in-
discutibile: un dato che ha forse reso ancora
più facile, in occasione del nuovo conflitto di
venticinque anni fa, il dilagare degli eccessi
compiuti in nome dell’appartenenza a un
gruppo nazionale, etnico, o religioso. Pro-
prio per affermare che un tale vuoto di co-
noscenze e di riflessione non deve essere ac-
cettato come un destino inevitabile, la Fon-
dazione Alexander Langer di Bolzano e l’as-
sociazione Tuzlanska Amica di Tuzla e il
Gruppo di Adopt, Srebrenica, in Bosnia,
hanno chiesto al Centro internazionale di
studi Primo Levi una presenza alla ottava
Settimana internazionale per la memoria
nell’agosto 2014.
È stata proprio la richiesta avanzata da
donne e uomini protagonisti della dura re-
altà di Srebrenica a dare legittimità a una
proposta che altrimenti avrebbe potuto ap-
parire come forzata e poco attenta alle sen-
sibilità dei sopravvissuti: quella cioè di of-
frire i racconti e le riflessioni di Levi come
occasione di incontro e di “rispecchiamen-
to”, utile a far avanzare la rielaborazione di
un’esperienza traumatica per molti versi
incommensurabile.
Da tutto questo sono nati più incontri a Tu-
zla, a Srebrenica, appunto, e a Sarajevo,
con la partecipazione, da un lato, di una
cinquantina di italiani giovani e meno gio-
vani provenienti da città diverse e, insieme,
oltre al gruppo di Adopt, soggetti attivi nel-
la società civile: presso il Memoriale del ge-
nocidio a Potocari, nel Forum di Tuzla nato
dalla rivolta popolare scoppiata in gran
parte della Bosnia, fra ex-internati nei
campi di concentramento e fra associazioni
che si occupano di diritti umani, fino al ge-
nerale Divjak, capo della difesa di Sarajevo
durante l’assedio e poi animatore di inizia-
tive per l’istruzione degli orfani di guerra.
Gli incontri sono stati introdotti ogni volta
dalla presentazione dell’opera di Levi, del
suo modo di misurarsi con l’esperienza del
Lager, della sua connaturata disposizione
al dialogo e di alcuni temi affrontati nei
suoi libri: in particolare il richiamo costan-
te alla dignità dell’essere umano e il para-
dosso -illustrato ne
I sommersi e i salvati
-
della vergogna provata da deportati ed ex-
deportati per gli effetti prodotti su di loro da
una colpa commessa da altri. La discussio-
ne, molto ricca anche di riferimenti a vicen-
de individuali, ha sollevato temi diversi di
cui qui di seguito si riferisce brevemente.
Il trauma del genocidio,
l’esperienza della guerra
Una prima considerazione, ampiamente
condivisa, è servita a evitare fraintendi-
menti e a facilitare la discussione: la di-
mensione universale dell’opera di Levi non
dipende dal fatto che i Lager nazisti debba-
no per forza essere assunti a termine di
confronto di qualsiasi evento traumatico e
violento possa aver colpito la società e la vi-
ta di un paese. Le parole di Levi ci riguarda-
no prima di tutto perché, nella loro pacata
ricerca di verità, a partire dall’analisi della
condizione estrema del Lager, riescono -co-
me lui stesso ci suggerisce- a gettare luce su
innumerevoli aspetti dell’animo umano. E
dunque possono accompagnarci nel dialogo
quotidiano che intratteniamo prima di tut-
to con noi stessi. Ad esempio, per fare pro-
prie le osservazioni sulla vergogna svilup-
pate ne
I sommersi e i salvati
, non è neces-
sario chiedersi preliminarmente se il trau-
ma del genocidio di Srebrenica o l’esperien-
za della guerra in ex-Jugoslavia siano o me-
no paragonabili con la vicenda degli ebrei
deportati da Hitler; vale piuttosto saper co-
gliere le risonanze che quelle osservazioni
evocano nell’incontro con la vita e le soffe-
renze di ognuno. Mi riferisco nello specifico
a un tema emerso molte volte nel dibattito:
quello della particolare vergogna che impe-
disce a molti di rompere il silenzio riguardo
la propria storia e le perdite subite negli
Intervento di Fabio Levi
Per Adolf Eichmann
Corre libero il vento per le nostre pianure,
Eterno pulsa il mare vivo alle nostre spiagge.
L’uomo feconda la terra, la terra gli dà fiori e frutti:
Vive in travaglio e in gioia, spera e teme, procrea dolci figli.
... E tu sei giunto, nostro prezioso nemico,
Tu creatura deserta, uomo cerchiato di morte.
Che saprai dire ora, davanti al nostro consesso?
Giurerai per un dio? Quale dio?
Salterai nel sepolcro allegramente?
O ti dorrai, come in ultimo l’uomo operoso si duole,
Cui fu la vita breve per l’arte sua troppo lunga,
Dell’opera tua trista non compiuta,
Dei tredici milioni ancora vivi?
O figlio della morte, non ti auguriamo la morte.
Possa tu vivere a lungo quanto nessuno mai visse:
Possa tu vivere insonne cinque milioni di notti,
E visitarti ogni notte la doglia di ognuno che vide
Rinserrarsi la porta che tolse la via del ritorno,
Intorno a sé farsi buio, l’aria gremirsi di morte.
20 luglio 1960.
Primo Levi,
Opere
, a cura di Marco Belpoliti, Einaudi, Torino, 1997, p. 540
la vergogna che impedisce a molti
di rompere il silenzio riguardo
la propria storia e le perdite subite
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