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La cospirazione del silenzio
Yael Danieli è psicologa, dirige il “Group
Project for Holocaust Survivors and their
children” di New York, da lei co-fondato nel
1975. È stata presidente della Società inter-
nazionale per gli studi sugli stress da trau-
ma, di cui è ora coordinatrice internaziona-
le e rappresentante alle Nazioni Unite. È
stata tra l’altro consulente all’Istituto nazio-
nale per la Salute Mentale degli Usa, per
l’Unicef, per l’ufficio dell’Alto commissaria-
to per i diritti umani. Ha lavorato con Ir-
fanka Pasagic, nell’ambito della rete “Pro-
moting a Dialogue: Democracy Cannot Be
Built with the Hands of Broken Souls” e ha
partecipato all’incontro ufficiale tenutosi a
Tuzla in occasione del decennale del genoci-
dio di Srebrenica. Pubblichiamo l’intervento
alla conferenza pubblica tenutasi a Tuzla
nel 2000.
Vorrei cominciare con una citazione di Elie
Wiesel, Premio Nobel per la pace e soprav-
vissuto all’Olocausto, che così si è espresso:
“Con il rischio di offendere, deve essere en-
fatizzato che le vittime hanno sofferto di
più e più profondamente per l’indifferenza
di chi ha assistito, piuttosto che per la bru-
talità degli esecutori. La crudeltà del nemi-
co non sarebbe stata in grado di distrugge-
re il prigioniero. È stato il silenzio di coloro
che credeva amici -crudeltà più vile, più
sottile- che ha spezzato il suo cuore. Non
c’era più nessuno su cui contare. Il deside-
rio di vivere era stato avvelenato. Se è que-
sta la società umana da cui proveniamo -e
da cui siamo stati ora abbandonati- perché
cercare di tornare?”.
So che molti di voi provano gli stessi miei
sentimenti all’ascolto di queste parole. Eb-
bene, con queste parole Elie Wiesel ha vo-
luto esprimere ciò che io nei miei scritti ho
definito la “cospirazione del silenzio”. Ho
condotto interviste non solo alle vittime
dell’Olocausto nazista e ai loro figli, ma an-
che ai sopravvissuti dei regimi argentino,
cileno, e altri. Tutti questi gruppi, come al-
tri con cui ho lavorato, concordano sul fatto
che proprio la “cospirazione del silenzio”,
che è avvenuta dopo la Liberazione, cioè do-
po la fine, con l’inizio della democrazia, è
stato ciò che più li ha fatti soffrire.
Il trauma
Vorrei ora offrirvi il mio modello del trau-
ma. Ebbene, alla domanda “chi sono” cia-
scuno risponde con una propria fisiologia e
psicologia. Ovviamente poi ogni individuo
esiste in una famiglia, in un vicinato, in
una società, in una comunità, con una reli-
gione, un gruppo etnico di riferimento, una
razza, ecc. Ebbene, se si potessero disegna-
re tutti questi elementi, avremmo al centro
l’individuo, e poi tutte queste dimensioni
attorno ad esso come cerchi concentrici. E
si potrebbero aggiungere anche le dimen-
sioni economica, educativa, spirituale, pro-
fessionale, internazionale, universale, ecc.
Questa identità esiste infine con una conti-
nuità dal passato, attraverso il presente, fi-
no al futuro. C’è infatti un libero fluttuare
di energia e influenze tra queste dimensio-
ni, perché c’è la memoria e poi ci sono i so-
gni, la fantasia... Voi infatti conoscete la
storia dei vostri antenati e anche voi avrete
la vostra vita e lascerete figli, nipoti...
Ora, il trauma crea una rottura in questo si-
stema e diversi traumi possono creare rot-
ture su più dimensioni di questo sistema.
Per esempio, uno stupro in una società sog-
getta a condizioni normali può “infettare”
l’individuo che subisce violenza, ma anche
gli altri livelli, nel senso che può influenza-
re la famiglia, il vicinato. E se la comunità
ne viene a conoscenza, ne verrà infettata
anch’essa, per certo. Perché, per esempio,
crescerà la paura anche nelle altre persone
e così via.
Stupri ripetuti in una situazione di guerra,
che quindi già comporta molte altre perdi-
te, creeranno una rottura su molte più di-
mensioni. E va ricordato che qui non mi ri-
ferisco solo alla rottura che provoca l’even-
to, lo stupro, ma anche a quella provocata
dalla cospirazione del silenzio che segue e
aggrava la ferita, assicurando che la vitti-
ma non riuscirà a sanare quel trauma.
Cosa significa tutto questo in termini di
guarigione dal trauma? Significa che l’indi-
viduo che ha vissuto quell’esperienza orren-
da ha trovato difficile anche solo trovare le
parole per raccontare la sua esperienza, e
lo stesso è accaduto alla sua famiglia e alla
società, che sono tutti passati per questo or-
rore. È questo, come ha scritto Wiesel, che
ha reso quell’esperienza e chi l’ha vissuta
assolutamente disperati: come potrò mai
sentirmi pienamente membro della società,
alla pari con gli altri, dopo tutto questo?
Se non parli, se non metti in parole il dolo-
re, che talvolta è veramente intollerabile e
indicibile, non puoi sanarlo. E così noi sco-
priamo che, almeno nelle 32 popolazioni co-
perte dalla ricerca compiuta con alcuni col-
leghi; popolazioni di cui alcune neppure sa-
pevano dell’esistenza delle altre, si arriva
alle stesse conclusioni. Nel senso che, detto
più chiaramente, nelle famiglie in cui non
si è parlato gli effetti dei traumi saranno
assolutamente peggiori di quelle in cui si è
parlato. E questo è vero per le vittime, che
rimarranno traumatizzate per tutta la vita,
ma è vero anche per i loro figli. E anche le
società in cui non si parla, difficilmente gua-
riranno dei traumi sofferti. E così la storia
del trauma continuerà il suo corso. E anche
nelle nazioni che non parlano dei propri
traumi -voi lo sapete meglio di chiunque al-
tro- il trauma vissuto rimarrà e riapparirà
non solo nella generazione attuale, ma an-
che, di nuovo, in quelle successive.
Voi potete vedere come in questo paese
molte famiglie abbiano attraversato in mo-
do traumatico la Prima guerra mondiale,
poi la Seconda e ora la recente esplosione
della Jugoslavia. E non è ancora finita...
Ma se voi siete veramente consapevoli di
questo, avete davanti una sfida e un’oppor-
tunità incredibili per invertire il corso di
questo processo maligno.
Il risarcimento simbolico e reale
Da un punto di vista individuale, la vittima
ha bisogno che venga ristabilita la sua pa-
rità in termini di valore, potere e dignità
nell’ambito della propria società o nazione.
Affinché questo avvenga è necessario, in-
nanzitutto, il risarcimento, sia questo reale
o simbolico. I soldi infatti non riportano in
vita chi è stato ucciso, seppure talvolta pos-
sano contribuire a ricostruire le case. Tut-
tavia un risarcimento simbolico può fare
molto per aiutare.
L’individuo necessita poi della restituzione,
in questo caso di avere di nuovo una casa,
al fine di tornare a sentirsi membro della
società. Necessita inoltre della riabilitazio-
ne, che può essere una terapia fatta da spe-
cialisti, ma anche qualche altra pratica. Ci
sono molti modi di farlo.
Infine,
last but not least
, è necessaria la
commemorazione.
Le persone che hanno perso qualcuno, sen-
za averne notizia, vivono in uno stato di
grande dolore.
Non puoi piangere i tuoi cari, perché non
hai un posto dove piangere, e non puoi
piangerli anche perché non sai per certo se
vanno compianti. Speri che non sia così. E
non hai neppure una tomba da visitare. In
molti casi non è rimasta nemmeno una fo-
tografia, niente. Per questo la commemora-
zione è estremamente importante. Primo,
perché è un modo rituale, simbolico, per re-
stituire alla persona la dignità che avrebbe
avuto in circostanze normali, come la visita
alla tomba, ecc. La commemorazione crea
condivisione.
La commemorazione
crea condivisione
La commemorazione, inoltre, è importante
non solo per gli individui, ma per la società
intera e per le relazioni tra gli individui e
la società. La commemorazione si trova in-
fatti in una posizione di cerniera tra il livel-
lo individuale e quello della società. Quan-
do c’è la commemorazione c’è una condivi-
sione, così non ti senti più solo; il tuo dolore
viene condiviso da altri che si preoccupano
per te e per quanto ti è accaduto, e si preoc-
cupano di ricordare la persona che hai per-
duto.
Ovviamente, è rilevante anche il modo in
cui la società sceglie di commemorare, che
tipo di monumento commemorativo decide
di avere: se scegli una persona con la pisto-
la vuol dire che come eroe hai scelto un kil-
se non parli, se non metti in parole
il dolore, che talvolta è veramente
intollerabile, non puoi sanarlo
Intervento di Yael Danieli
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