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conoscimenti facili, ma ora fermamente
convinto che si debba riconoscere la Mace-
donia prima che sia troppo tardi. Bisogna
agire oggi. Perché ci sono anche da noi per-
sone che pensano che “se la situazione si
mette in movimento, non è che possiamo ri-
prenderci l’Istria e la Dalmazia?”.
Pacifismo tifoso, pacifismo concreto
Di fronte a questa situazione, sentiamo
drammaticamente insufficiente un pacifi-
smo, un’azione per la pace, di sola testimo-
nianza o rivendicazione. Spesso ci viene
rinfacciato dai giornali: “Voi facevate il tifo
per i vietnamiti contro gli americani perché
vi piaceva essere contro gli americani”; “Voi
facevate il tifo per gli angolani contro i por-
toghesi perché erano neri e i bianchi dove-
vano comunque aver torto”. Mi pare che la
situazione nella quale ci muoviamo, a pre-
scindere da ogni giudizio sul pacifismo, non
permetta azioni di sola testimonianza, per
quanto importanti siano anche le azioni
simboliche. Anche chi nel piccolo comune,
per ipotesi, riesce a mettere insieme un
profugo serbo con un profugo croato o bo-
sniaco fa già una gran cosa secondo me. È
importante aiutare la nostra opinione pub-
blica a trovare un approccio che non sia
semplicemente quello delle tifoserie oppo-
ste, per cui ci sono i filo-croati o i filo-serbi.
Per prevenire questo tipo di conflitti, so-
prattutto quando assumono una dimensio-
ne etnica, c’è la necessità che l’Europa si
opponga decisamente a ogni forma di esclu-
sivismo etnico per favorire prospettive di
convivenza, che non siano praticabili solo
da santi e da eroi, cioè che non richiedano
una continua abnegazione.
Un gruppo misto
Il miglior prodotto da “esportazione” che ho
acquisito dalla nostra situazione sudtirole-
se o altoatesina è questo: in una situazione
di conflitto non c’è nulla di meglio, per
quanto difficile sia, di avere almeno un
gruppo, almeno un nucleo, possibilmente
anche qualcosa di più, che sia in se stesso
composito; cioè plurietnico, plurireligioso.
Questa è forse la ragione per cui Sarajevo
viene distrutta, perché è un luogo in cui la
gente si sentiva “di Sarajevo”, prima di sen-
tirsi serba o croata o musulmana, ecc. Cioè
si sentiva parte di una cosa comune. Que-
sto avere un nucleo comune non significa
annullare l’identità. Noi, ad esempio, nella
nostra situazione, ormai quasi trent’anni
fa, anzi ventotto anni fa, nel ’64, da ragazzi
praticamente, abbiamo tentato di formare
dei gruppi misti. C’erano le bombe, c’erano
persone che morivano, altre che venivano
arrestate, alcune torturate dalla polizia,
c’era chi moriva in carcere con sigarette
spente sul corpo, poliziotti o finanzieri ucci-
si, insomma, una situazione in cui l’ostilità
reciproca si diffondeva.
Secondo me, i gruppi misti sono qualcosa di
molto diverso dai gruppi di dialogo in cui ci
si parla “da parte a parte”. Chi fa parte di
un gruppo misto ha una migliore compren-
sione di quello che vogliono e che pensano
gli altri e, in un certo senso, è obbligato in
tutto quello che si fa a misurare la compa-
tibilità con gli altri. Infatti, nel Forum di
Verona io credo che la cosa più preziosa,
finché regge, è il fatto che lì questa situa-
zione esiste. Certo, magari le cose che ven-
gono fuori, i nostri documenti, possono ap-
parire un po’ generici, perché non si può
mettere niente che appaia inaccettabile a
Risoluzione finale della Conferenza inter-
nazionale svoltasi a Tuzla dal 3-5 novem-
bre 1994 promossa dal Forum dei Cittadini
di Tuzla e dal Verona Forum per la Pace e
la riconciliazione nell’ex-Jugoslavia con la
partecipazione -nella città assediata- di cir-
ca sessanta rappresentanti di istituzioni e
organismi pubblici, di organizzazioni cul-
turali e politiche di 15 paesi dell’Europa,
Nordamerica e Sudamerica (tra i quali si-
gnificativi esponenti democratici della
Croazia, della Serbia e del Montenegro)
Siamo venuti a Tuzla con l’intento di so-
stenere le forze democratiche in Bosnia-
Erzegovina, che hanno mostrato proprio a
Tuzla che è possibile preservare lo spirito
di tolleranza e convivenza persino in con-
dizioni di guerra. Condannando l’aggres-
sione contro la repubblica sovrana e inter-
nazionalmente riconosciuta di Bosnia-Er-
zegovina, l’epurazione etnica e altre forme
di genocidio cui le sue popolazioni sono
sottoposte, come anche i tentativi di creare
degli Stati mono-etnici (di una nazione so-
la) sul suo territorio, i partecipanti alla
Conferenza concordano sulle seguenti con-
clusioni:
1. l’instaurazione di una pace durevole e
giusta deve essere il compito prioritario di
tutti coloro che hanno a cuore i cittadini
della BiH e il loro futuro.
2. Riaffermiamo il nostro sostegno alla
preservazione di una repubblica di Bo-
snia-Erzegovina indivisa, indipendente e
internazionalmente riconosciuta, all’inter-
no dei suoi confini, e ci pronunciamo deci-
samente contro il riconoscimento dei risul-
tati dell’aggressione.
3. Chiediamo che il Tribunale Internazio-
nale per i crimini contro l’umanità com-
messi nell’ex-Jugoslavia identifichi al più
presto gli individui che hanno commesso,
ordinato e incoraggiato crimini di guerra,
e che li condanni sulla base dei criteri del
diritto internazionalmente riconosciuto.
4. Chiediamo che tutti gli espulsi e rifugia-
ti possano tornare incondizionatamente a
casa loro.
5. Di particolare importanza è l’aiuto -sia
materiale che in altre forme- ai mezzi di
informazione a orientamento civico, che
svolgono un ruolo indispensabile nella lot-
ta contro l’odio e l’intolleranza.
6. Chiediamo alle Forze di protezione delle
Nazioni Unite (Unprofor) di agire d’ora in
poi con decisione contro coloro che impedi-
scono il passaggio di convogli umanitari e
di rendere possibile la fornitura di aiuti
attraverso il corridoio settentrionale, e di
aprire finalmente l’aeroporto di Tuzla.
7. Mettiamo particolarmente in guardia
tutti contro la natura distruttiva di ogni
politica che tolleri la spartizione della BiH
secondo criteri etnici e che consideri i capi
dei partiti nazionalisti come gli unici rap-
presentanti dei tre popoli della BiH. Una
tal politica costituisce una grande ingiu-
stizia verso tutti quei croati, serbi e mu-
sulmani bosniaci che considerano se stessi
innanzitutto come cittadini della Bosnia-
Erzegovina e che non desiderano essere
costretti entro recinti etnici. Sino a quan-
do i partiti nazionalisti considereranno se
stessi come rappresentanti esclusivi degli
interessi delle loro rispettive nazioni, non
ci sarà alcuna speranza di instaurare una
giusta pace. Le conseguenze di questa po-
litica si possono vedere nel modo in cui si-
nora è stato attuato l’accordo di Washin-
gton, e in particolare nel modo come è sta-
to tollerata la forzatura della statualità
della cosiddetta Herceg-Bosnia, mettendo
così in pericolo le future prospettive della
federazione tra Croazia e Bosnia-Erzego-
vina. Coloro che hanno iniziato la guerra
non possono costruire la pace.
8. Pertanto consideriamo necessario esten-
dere un efficace aiuto -morale, materiale e
politico- a quei partiti politici e iniziative
civiche che hanno dimostrato -attraverso
l’esempio di Tuzla- che è possibile, persino
in condizioni di guerra e di aggressione,
preservare la convivenza multi-culturale e
uno spirito di tolleranza. Se vogliamo con-
tribuire a preservare uno spirito di tolle-
ranza e a creare i pre-requisiti per la co-
struzione di una società democratica, allo-
ra dobbiamo aiutare tutte quelle forze che
sostengono l’opzione civica. Queste forze
devono essere incoraggiate a evitare ogni
reciproco malinteso e a concentrarsi insie-
me sulla lotta per la democrazia e la tolle-
ranza, particolarmente nella difesa della
legalità e nella promozione dello spirito di
una società civile.
9. L’Europa democratica, della convivenza
multi-culturale e dell’anti-fascismo si tro-
va di fronte a una scelta: o si aiuta il “mo-
dello Tuzla” a diventare un esempio per
tutte quelle comunità in Bosnia-Erzegovi-
na, dove ai cittadini sinora è stato impedi-
to di esprimere la loro innata aspirazione
verso una società civica, multi-culturale e
tollerante, o si contribuirà -anche con la
sola passività- all’irreparabile distruzione
di ogni speranza per la ricostruzione di
una Bosnia-Erzegovina multi-culturale e
tollerante. Ma ciò significherebbe la scon-
fitta dei fondamentali valori della moder-
na Europa.
Tuzla, 5 novembre 1994
È possibile un’Europa che non sia multi-culturale?
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