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siamo l’esempio più calzante, possono esse-
re ancora più durature dei confini instabili
tra gli stati e rinforzare pregiudizi e barrie-
re mentali assai difficili da sradicare.
Sono anche più durature del fluire dei seco-
li e possono condannarci a vivere in un lun-
go Novecento, dentro alla spirale delle pas-
sioni etno-nazionali.
Abbiamo molto vicino a noi due esempi em-
blematici, riconoscibili in due luoghi della
memoria di Bolzano. Il primo è costituito
da ciò che rimane del “Polizeiliches Dur-
chgangslager Bozen” di via Resia. Si tratta
di una parte del muro di cinta del Dulag,
un resto quasi invisibile immerso e confuso
tra i palazzi di una delle più dense zone edi-
ficate della città. Sarebbe potuto rimanere
tale, rispettando così quel patto dell’oblio
che fu sottoscritto nel dopoguerra per poter
guardare avanti, per superare le incom-
prensioni, le cesure profonde provocate dal
ventennio fascista, dalle opzioni, dall’occu-
pazione nazista seguita all’8 settembre
1943. Invece, è diventato luogo di memoria
collettiva, un luogo pubblico e istituzional-
mente riconosciuto. Ogni anno, in occasione
delle celebrazioni del Giorno della memoria
(27 gennaio) e dell’anniversario della Libe-
razione (25 aprile), la cittadinanza e le sue
istituzioni vi si riuniscono in una cornice
solenne per ricordare insieme.
Il secondo esempio è costituito dal Monu-
mento alla Vittoria di Piacentini, diventato
spazio fisico e simbolico di un conflitto ri-
tualizzato, area interdetta al
pubblico
, luo-
go per eccellenza delle memorie divise. A
partire dal 2011 è stato avviato un progetto
di recupero e valorizzazione museale, che
ha portato all’apertura di una mostra per-
manente sugli anni delle dittature nella
cripta del monumento; si tratta di un’ope-
razione che viene ad assumere gli impor-
tanti caratteri di una ri-dedicazione: da luo-
go di celebrazioni, parate e bandiere, a luo-
go di confronto e riflessione storici.
Il richiamo a una memoria “condivisa” ca-
pace di superare divisioni e incomprensio-
ni, molto presente anche nel nostro dibatti-
to pubblico, può generare più che giustifica-
te diffidenze, perché dietro all’invito a far
tacere polemiche e visioni di parte, ci può
essere l’intenzione di avviare un’operazione
volta a riscrivere la storia o a sterilizzarla
da eventi che si pretende di rimuovere. La
“memoria condivisa” correrebbe così il ri-
schio di essere quella che Sergio Luzzatto
chiama la “comunione della dimenticanza”.
L’oblio è l’altra faccia della memoria. L’esi-
genza di superare le divisioni e di iniziare
a costruire il futuro, piuttosto che fare i
conti con il proprio passato, ha prodotto
luoghi (ma non solo luoghi) invisibili.
Adriano Sofri, parlando dei monumenti del-
l’orrore (dai campi di concentramento alle
foibe del Carso) a lungo invisibili come le
cose che non si vogliono vedere, per un de-
siderio di convalescenza dall’odio e dalla
paura, e per una rimozione faziosa, ha sin-
tetizzato bene un meccanismo che molte so-
cietà hanno saputo attivare. In Sudtirolo, lo
ricordavamo precedentemente, l’esigenza di
guardare al futuro e di togliersi dalle spalle
le zavorre del passato, ha prodotto anche
una tacita lottizzazione della storia, quella
del “noi” e quella degli “altri”, che è servita
come elemento fondativo di costruzione e
coesione di ogni singolo gruppo, peraltro
perfettamente coerente con il principio di
pace nel rispetto ma anche nella separazio-
ne, che ha contraddistinto il processo della
nostra ricostruzione.
Memoria e conciliazione
Una riflessione che riguardi la memoria
non può prescindere dal definire la “sogget-
tività” come il suo carattere costitutivo. Lo
storico Claudio Pavone è su questo punto
estremamente chiaro quando sostiene che
la “memoria comune o condivisa” è un con-
cetto privo di senso, non essendoci niente di
più soggettivo della memoria. Un ex parti-
giano e un reduce della Rsi, sostiene sem-
pre Pavone, non potranno mai avere la
stessa visione del passato. Quindi non di
“memoria condivisa” dovremmo parlare,
bensì di memoria “collettiva”, ovvero -chia-
mando in causa il pensiero di Marc Bloch-
una storia che rimanda a un unico passato
a cui nessuno può sottrarsi.
Si può e forse si devono fare i conti con una
memoria divisa, senza che questo automa-
ticamente implichi l’annullamento o la can-
cellazione delle memorie diverse.
Se è vero, e anche auspicabile, che si può
continuare a convivere con memorie divise,
nel senso di diverse, è altrettanto desidera-
bile che la cultura della memoria non sia
impermeabile alle esigenze di conciliazione.
Una qualsiasi operazione di conciliazione sul
piano delle memorie ha bisogno in premessa
di tenere ben presenti almeno tre aspetti:
1. la memoria e la cultura della memoria
sono importanti e potenti strumenti su cui
si fonda l’organizzazione del consenso e la
legittimità del potere politico;
2. la memoria e la cultura della memoria
sono un patrimonio nella cui cura si conso-
lida l’immagine stessa di una certa società;
3. se fare memoria significa pensare al pas-
sato per prendersi cura del presente, c’è bi-
sogno che ci sia un presente che dimostri
una chiara volontà di muoversi in una pro-
spettiva di conciliazione.
Soprattutto nelle zone in cui i conflitti sono
ancora caldi il primo passo verso una possi-
bile conciliazione passa attraverso il ricono-
scimento reciproco della sofferenza e del do-
lore dell’altro; un atto che può ricomporre
ciò che è stato lacerato, rispettando le di-
versità.
1.
Franz Lanthaler (hg./a cura di),
Jugend und
Geschichte: eine Studie zum Geschichtsbewu-
ßtsein
/
I giovani e la storia. Un’indagine sulla co-
scienza storica,
Pädagogisches Institut / Istituto
pedagogico / Istitut pedagogich ladin, Bolzano
1997, p. 28.
2.
Giuseppe Ricuperati:
Mnemosyne e Anamnesis:
discipline della memoria e conoscenza storica fra
passato e futuro
. In: Liceo “Città di Piero” di San-
sepolcro, Ist. Statale d’Arte “G. Giovagnoli” di San-
sepolcro e Anghiari (a cura di):
Le ragioni della me-
moria. Viaggio ad Auschwitz
. Sansepolcro 2005.
la “memoria condivisa” corre il rischio
di essere quella che Luzzatto chiama
la “comunione della dimenticanza”
fare memoria significa
pensare al passato
per prendersi cura del presente
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