Una Città289 / 2022
dicembre-gennaio


Con tutte le nostre forze abbiamo lottato perché l’inverno non venisse. Ci siamo aggrappati a tutte le ore tiepide, a ogni tramonto abbiamo cercato di trattenere il sole in cielo ancora un poco, ma tutto è stato inutile... stamattina è inverno. Noi sappiamo
che cosa vuol dire, perché eravamo qui l’inverno scorso... Vuol dire che, nel corso di questi mesi, dall’ottobre all’aprile,
su dieci di noi, sette morranno. Chi non morrà, soffrirà minuto per minuto, per ogni giorno, per tutti i giorni:
dal mattino avanti l’alba fino alla distribuzione della zuppa serale dovrà tenere costantemente i muscoli tesi,
danzare da un piede all’altro, sbattersi le braccia sotto le ascelle per resistere al freddo. Dovrà spendere
pane per procurarsi guanti, e perdere ore di sonno per ripararli quando saranno scuciti...
A tutti si apriranno ferite sulle mani, e per ottenere un bendaggio bisognerà attendere
ogni sera per ore in piedi nella neve e nel vento.
Primo Levi, Auschwitz, ottobre 1944 (Se questo è un uomo

dicembre 2022 - gennaio 2023

La questione tedesca
Il problema di un paese troppo forte e troppo debole
Intervista ad Angelo Bolaffi

Di difficile reperimento
Come leggere l’andamento del mercato del lavoro
Intervista a Bruno Anastasia

C’era il riscaldamento...
Il teatro va bene, ma in carcere si sta troppo male
Intervista a Elisa Taddei

Donna vita e libertà
La resistenza delle iraniane che viene da lontano
di Janet Afary e Kevin Anderson

Imparare facendo
Il metodo dello scautismo italiano
Intervista a Fabrizio Coccetti

Una volta aperta la porta...
Intervista a Massimo Livi Bacci

Enzensberger sul sistema sociale e ciò che lo tiene insieme
di Alfonso Berardinelli

Il corvo, la polenta e la margarina
di Alberto Cavaglion

La capitale dei marocchini italiani
di Emanuele Maspoli

In morte di Papa Ratzinger
di Matteo Lo Presti

La vendetta del cacciucco
di Michele Battini

Il concetto di servizio pubblico
di Belona Greenwood

In ricordo di Lisa Foa
un libro di una città

La visita è alla tomba di Saul Alinsky

Il documento che pubblichiamo in copertina e a pagina 2 proviene dall’Archivio Fondazione Cdec (Fondo Massimo Adolfo Vitale, b. 6, fasc. 196). Ringraziamo il Cdec per il permesso di riprodurlo.


La copertina è dedicata alla Giornata della memoria. L’Europa non ha una carta costituzionale e chissà quando l’avrà. Ma ha queste carte che valgono altrettanto. Valgono l’impegno a che nulla, che possa anche lontanamente assomigliare a ciò che queste carte testimoniano, potrà ripetersi in Europa e nel resto del mondo. Il sostegno al popolo ucraino, minacciato di dissoluzione, viene di lì. I governi europei, molti dei quali di destra, finalmente ce l’hanno fatta a decidersi a inviare alla resistenza ucraina armi adeguate, superando anche l’incomprensibile (o comprensibile?) boicottaggio del socialdemocratico tedesco. Speriamo che non sia tardi. E a proposito di sinistre, insieme a Scholz che spettacolo stiamo dando? Di fronte a una guerra contro i civili, una guerra di annientamento di un popolo e di una democrazia, da parte di una potenza fascista, che usa missili atti ad affondare una portaerei contro condominii civili, che vuol costringere al gelo invernale anziani e bambini, invece di essere in piazza a chiedere di sostenere la resistenza ucraina, cosa facciamo? Continuiamo a invocare, contro ogni senso comune, la fine del “conflitto”, come lo chiamiamo, a ripetere fra noi e noi le parole “negoziato”, “via diplomatica”, e, quel che è peggio, a tentar di infamare il leader di quella resistenza ogni volta che crediamo ce ne sia occasione. Di fronte a tanta antipatia vien anche da chiedersi, e c’è da rabbrividire, cos’è che dà tanto fastidio: il comico o l’ebreo? Ma forse solo la sua scelta di rischiare la vita per il proprio paese. Guardiamoci allo specchio: siamo irriconoscibili. Sembriamo degli imboscati che appena possono, a voce bassa, parlano male di chi è al fronte.

Angelo Bolaffi ci spiega magistralmente cos’è “la questione tedesca”, quella di un paese troppo grande per essere uguale agli altri e troppo piccolo per svolgere un ruolo egemone, un paese che ha risolto il rapporto con il passato, che è riuscito a riunificarsi aiutando i tedeschi dell’est, rinunciando fra l’altro, alla tredicesima, un paese, però, che ancora non ha risolto il rapporto col futuro, un paese che ha commesso un errore disastroso costruendo il Nord stream 2 e che adesso deve decidere “da che parte stare”. E poi: è la caduta del muro ad aver portato la globalizzazione o è la globalizzazione ad aver fatto cadere il muro? E l’Europa è nata solo per difendersi o anche per la libertà? E la formula che ha partorito la Nato, “dentro gli americani, fuori i russi, giù i tedeschi”, è ancora valida? E poi cosa pensano i tedeschi degli ucraini, visto che uno come Helmut Schmidt, già premier, diceva che l’Ucraina non esiste, e Gerhard Schroeder, già premier, è tuttora legato a filo doppio alla Russia? E quanto, di quello che sta succedendo, deriva dalla mancanza di coraggio di Obama in Siria? Eccetera, eccetera.

Per “problemi di lavoro” Bruno Anastasia ci spiega come leggere le tendenze del mercato del lavoro, cosa non delle più facili: l’aumento dei lavoratori dipendenti e il calo di quelli indipendenti, in flessione già prima del Covid; il numero di ore lavorate in calo a fronte dell’aumento degli occupati, per via della diffusione del part-time; l’incremento dei passaggi dei lavoratori da un’impresa all’altra; il reddito di cittadinanza concentrato in due regioni, Sicilia e Campania; il debito che ci impedisce di fare come la Germania.

Al centro dedichiamo molte pagine all’eroica lotta delle donne iraniane, che affonda le sue radici in oltre un secolo di battaglie, che quasi sempre hanno avuto al centro la questione del genere, dalla proibizione del velo ma anche dell’omosessualità da parte di uno Scià riformatore, all’obbligo del velo, ai matrimoni precoci, al divorzio facile per i maschi, introdotti dalla rivoluzione islamica. Dal sito di “Dissent”, un saggio di Janet Afary e Kevin Anderson.

Massimo Livi Bacci infine ci spiega come il progresso dell’umanità, dall’era della caccia e raccolta, a quella dell’agricoltura e dell’allevamento, a quella dell’industria, è segnato dagli incrementi di popolazione e di come ogni cultura ha pensato di regolare l’istinto riproduttivo; la nostra è contraddistinta ormai da una sensibilità femminile diffidente di ogni politica “della fecondità”.

Poi Alfonso Berardinelli ci parla di Hans Magnus Enzensberger, Matteo Lo Presti di Papa Ratzinger, Alberto Cavaglion di Luigi Meneghello, Michele Battini del padre di Galeazzo Ciano; poi le corrispondenze di Belona Greenwood e di Emanuele Maspoli; infine il ricordo di Lisa Foa e la “visita” alla tomba di Saul Alinsky.
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