Partiamo dal concetto di cicli demografici: nei suoi libri, assieme ad altri studiosi, ne individua tre nella storia dell’umanità. Quali sono e da cosa sono stati causati?
Molto di quello che dirò è in parte congetturale, ma ci può aiutare a capire le relazioni fra mondo e crescita della popolazione. I tre cicli a cui si riferisce sono dovuti a mutamenti strutturali che hanno moltiplicato le risorse a disposizione della nostra specie. Il passaggio fra il primo e il secondo ciclo demografico è segnato dalla transizione da un sistema di caccia e raccolta all’avvento dell’agricoltura stanziale. La capacità di coltivare cereali, lasciandosi alle spalle uno sfruttamento delle risorse basato sulla caccia, sulla raccolta dei prodotti della terra e sulla predazione di altre risorse, ha determinato una stanzialità della popolazione. Non più necessitata a muoversi sul territorio, si è potuta radicare, e questo ha portato a una maggiore capacità di sopravvivenza, a una maggiore coesione dei gruppi e a una maggiore stabilità delle risorse alimentari.
Ci sono varie scuole, fra i demografi, per spiegare questo fenomeno. C’è chi suppone che, rispetto a una popolazione nomade, una popolazione sedentaria abbia maggiore capacità riproduttiva: chi fa caccia e raccolta si deve muovere spesso, perciò non è funzionale avere molti figli. Inoltre, avere più risorse alimentari (i cereali si possono conservare) avrebbe prodotto una migliore sopravvivenza.
Altri sostengono invece che nelle società stanziali c’è molta più possibilità di sviluppo e diffusione delle malattie infettive, e questo potrebbe fare aumentare la mortalità, ma convengono che la fecondità risulti molto più alta. Tutto questo, come dicevo, è assai congetturale perché basato sulla retro-proiezione dei dati emersi studiando quelle pochissime società di caccia e raccolta sopravvissute nel presente e le cui caratteristiche vengono attribuite a popolazioni vissute migliaia di anni prima.
Dunque, questo è stato un primo salto, dal paleolitico al neolitico; la capacità di coltivare il suolo, organizzare la società, addomesticare gli animali e allevarli, sono tutti fenomeni che compaiono con l’invenzione dell’agricoltura e creano condizioni favorevoli per un primo accrescimento della popolazione.
Una seconda accelerazione è attribuibile alla rivoluzione agricola e a quella industriale, ovvero all’aumento di produttività nello sfruttamento della terra e all’enorme incremento delle capacità di accumulo che l’industria ha determinato. Questo è stato il secondo punto di svolta della società umana, che ha segnato l’entrata nel terzo ciclo, caratterizzato da una fortissima crescita demografica.
Per lunghissima parte della sua storia la specie umana è cresciuta in modo impercettibile, costretta da forze restrittive apparentemente insormontabili. Poi accade qualcosa: avviene uno scollamento fra biologia e demografia. La popolazione pare “indipendente” da quelle due forze stabili e naturali che lei definisce Eros e Thanatos.
Semplificando enormemente: prima della rivoluzione industriale regnano quelle due forze che, un po’ filosoficamente, ho chiamato Eros e Thanatos, ovvero l’istinto riproduttivo e l’istinto di sopravvivenza. L’istinto di sopravvivenza possiamo darlo grosso modo per costante: è qualcosa che è insito nei nostri geni. Non vogliamo morire: è questo un sentimento comune a tutti o quasi tutti, anche se ci sono sempre deviazioni dalla norma! Per quanto riguarda l’istinto riproduttivo, è sempre stato regolato, anche se in modi diversi rispetto a quanto avviene nei nostri tempi. Ad esempio regolando quello che possiamo chiamare il “diritto” di avere figli. Si mettevano al mondo figli se si possedeva un determinato status: bisognava essere coniugati o comunque riconosciuti come legittima coppia dalla società. Questo è il cosiddetto “accesso” alla riproduzione, che funzionava in vari modi ed era manipolato diversamente da ogni società. In alcune società si prescrivevano al matrimonio età precoci, in altre avanzate.
Un esempio che h ...[continua]
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