Bruno Anastasia si occupa di analisi del mercato del lavoro. Ha diretto fino al 2019 l’Osservatorio sul mercato del lavoro regionale di Veneto Lavoro. Dal 1994 al 2001 è stato presidente del Coses di Venezia e dal 2001 al 2006 presidente dell’Ires Veneto. Dal 2000 al 2006 ha collaborato con il Gruppo nazionale di monitoraggio delle politiche del lavoro istituito presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali. Ha insegnato Economia del lavoro all’Università di Trieste.

Vorremmo rifare un po’ il punto sul mercato del lavoro. Il fenomeno delle “grandi dimissioni” ha attirato molta attenzione e ci sono state varie interpretazioni, ma partiamo da un’inquadratura generale dell’occupazione: com’è andata nel periodo recente, segnato dal Covid?
Quando si valuta la situazione attuale del mercato del lavoro sono possibili due sguardi completamente differenziati. Se guardiamo a come è andata nell’ultimo periodo, a partire dal 2021 fino a tutto il 2022, che dire? Difficile immaginare di meglio sotto il profilo della dinamica occupazionale, dato il contesto. Con il Covid sono stati penalizzati i posti di lavoro a tempo determinato, però quelli a tempo indeterminato sono aumentati anche durante la pandemia. Grazie al dispositivo congiunto cassa integrazione e blocco dei licenziamenti, le imprese in stragrande maggioranza hanno potuto affrontare la situazione e in diversi casi sono andate anche molto bene, per cui hanno avuto bisogno di assumere. Occorre aggiungere che i lavoratori coinvolti in lunghi periodi di cassa integrazione hanno dovuto scontare, nel 2020, una perdita di reddito dato che l’integrazione assicurata dalla Cig è parziale.
Tornando alla dinamica occupazionale, è vero che nel 2020 le assunzioni e le trasformazioni a tempo indeterminato sono diminuite rispetto all’anno precedente, ma sono calate ancor di più le cessazioni, per l’irrigidimento complessivo del mercato del lavoro (licenziamenti semi-bloccati e mobilità tra imprese ridotta) cosicché il numero di posti di lavoro a tempo indeterminato è aumentato. Tale incremento è continuato per tutto il 2022, anche se a ritmi non eccezionali. I dati Istat evidenziano per i “dipendenti permanenti” (una proxy dei dipendenti a tempo indeterminato) un incremento di oltre 200.000 unità tra novembre 2019 e novembre 2022; secondo l’Osservatorio Inps sul Precariato (riferito alle sole imprese private extra-agricole) per il periodo settembre 2019-settembre 2020 la variazione dei posti di lavoro a tempo indeterminato è positiva per oltre 600.000 unità.
Nel periodo pandemico si sono contratti i posti di lavoro a termine, inclusi quelli in somministrazione, ma a partire dal 2021 anche per essi si è registrata una consistente ripresa tanto che a settembre 2022, rispetto a settembre 2019, i posti di lavoro a termine nel settore privato extra-agricolo secondo i dati Inps risultavano aumentati di circa 350.000 unità (circa 200.000 a tempo determinato e il resto tra somministrato e intermittente).
Meno positivi risultano i dati sull’occupazione complessiva, nella media 2022 a malapena allineati alla media 2019. Ciò è dovuto alla continua “asciugatura” del lavoro indipendente, un trend che viene da lontano e a cui il Covid ha dato un ulteriore contributo. Dietro a questa tendenza ci sono elementi positivi (come la contrazione, determinata dal Jobs Act, delle collaborazioni coordinate e continuative nel settore privato) e altri di segno opposto: minor propensione all’imprenditorialità, al lavoro autonomo, al rischio.
C’è infine un altro elemento di cui tener conto nella lettura dei dati Istat, ed è l’adozione del Regolamento europeo 2019/1700, entrato in vigore a gennaio 2021, finalizzato a migliorare la raccolta e l’armonizzazione tra i vari Paesi dei dati alla base dei principali indicatori del mercato del lavoro. La principale innovazione, con significative conseguenze sulle statistiche, ha riguardato la classificazione dei cassintegrati, ora esclusi dal perimetro degli occupati se l’assenza (prevista) dal lavoro è superiore a tre mesi; lo stesso criterio si applica ai lavoratori autonomi che sospendono transitoriamente la loro attività pur senza procedere a una formale cessazione. In tempi normali questa riclassificazione non avrebbe avuto significative ricadute sui livelli occupazionali complessivi ma non altrettanto si può dire per il biennio 2020-2021. Ciò ha dato luogo, nella fase delle restrizioni all’attività produttiva più intense, a errori ...[continua]

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