Fabrizio Coccetti, fisico ricercatore, è dirigente al Centro Ricerche Enrico Fermi di via Panisperna a Roma. È stato Capo Scout d’Italia e negli anni ha ricoperto diversi ruoli associativi, tra cui Akela d’Italia (responsabile nazionale della branca Lupetti e Coccinelle). È ancora censito come Capo, è sposato ed è padre di tre figli.

Volevo chiederti di parlare dell’attualità dello scautismo e partirei quindi dalla modernità del suo metodo...
Sono convinto che uno degli elementi di fondo che rende moderno il metodo scout sia il fatto di essere fondato sull’esperienza: sul fare e sul favorire l’autonoma lettura di quanto fatto. In questo è in forte controtendenza con il sistema scolastico che spesso rischia di essere cattedratico, con un docente che insegna in modo frontale. Nello scautismo la prospettiva è totalmente ribaltata, impari vivendo esperienze, quello che sintetizziamo con l’espressione “imparare facendo”. Inoltre, c’è un altro importante aspetto collegato: l’insegnamento ad arrangiarsi, che è favorito dal trovarsi di fronte a dei problemi concreti da risolvere e dal dover individuare le strategie per risolverli. Ad esempio, si può andare lo stesso in uscita anche se piove a dirotto, non ci sono difficoltà insuperabili a patto di capire come attrezzarsi in modo opportuno; la creatività e la capacità di arrangiarsi vengono esercitate grazie ai problemi concreti che si incontrano: se non hai un copri-zaino penserai a usare un sacco dei rifiuti. Lo scautismo non fornisce dei servizi, ma spinge a imparare dall’esperienza, da quello che succede, dalle circostanze che devi affrontare. I ragazzi hanno spazio per sperimentare sia le conseguenze delle proprie azioni sia i fallimenti. Se tu dimentichi i picchetti della tenda, come una volta successe a me da ragazzo alla prima uscita, sarai costretto a trovare delle soluzioni creative, ad esempio a fabbricarli con dei piccoli rami verdi. Ma se il nostro capo reparto -prima di partire- ci avesse detto: “Avete controllato se avete i picchetti?”, noi non avremmo imparato niente, perché avremmo solo controllato se c’erano e se no li avremmo presi.
Quindi nello scautismo hai una serie di responsabilità, anche piccole, ma se le manchi ci sono delle conseguenze proporzionali che ti spingono ad arrangiarti e quindi a sviluppare la creatività. Un bambino che a otto anni si porta lo zaino al campo e s’arrangia per otto giorni, fa un’esperienza controcorrente in una società che ti vorrebbe solo consumatore.
Credo che arrangiarsi sia una delle principali competenze utili nella società di oggi e che l’offerta alle famiglie di un’esperienza di forte socialità che aiuti a sviluppare l’autonomia sia uno dei motivi della grande domanda d’iscrizioni che abbiamo nella nostra associazione.
Il percorso educativo nello scautismo italiano che vede i ragazzi entrare a otto anni in una comunità di adulti che li accompagna fino ai 20-21 anni, è diverso da altri paesi?
Sì, questo percorso tipico è nello scautismo italiano ma non si può dire che avvenga in generale nello scautismo estero. Nel 1994, per un anno intero ho prestato servizio come capo nell’associazione scout inglese, sono stato aiuto allo staff di un Branco nel Manchester 392°. In quel gruppo c’erano due branchi ma non le altre unità (in Italia ogni gruppo ha tre unità/branche: i lupetti/coccinelle per gli 8-11 anni; il Reparto per i ragazzi e ragazze dai 12 ai 16 anni e il Clan/Fuoco tra i 16 e i 21. Ndr) e per proseguire l’esperienza i ragazzi dovevano poi cambiare gruppo. Avere tutte le unità nello stesso gruppo è una situazione tipica dei paesi latini e da noi questa impostazione funziona bene. Nei paesi anglosassoni moltissime persone fanno l’esperienza scout da bambini e poi smettono. Ho impiegato mesi a capire le differenze nell’impostazione tra lo scautismo anglosassone e quello latino. Inizialmente ritenevo che la proposta di scautismo migliore fosse quella italiana, ma quando ho conosciuto meglio la società inglese, mi sono accorto che lo scautismo ha un approccio diverso in società diverse e in Inghilterra hanno alcuni punti di forza straordinari che noi italiani abbiamo di meno. In Italia, semplificando al massimo, l’idea di fondo, la nostra finalità principale, è quella di educare le persone a essere responsabili delle proprie scelte. Nello scautismo inglese, invece, l’obiettivo finale è piuttosto quello di educare al “buon cittadino”, privilegiando il coinvolgimento delle famiglie più povere ...[continua]

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