In morte del Papa emerito Benedetto XVI sono molte e divergenti le riflessioni che riguardano il suo impegno di testimone (parola che in greco significa “martire”) della fede cattolica, con un rigore e approfondimenti culturali di largo respiro. Non a caso è stato prefetto della Congregazione per la dottrina della fede per molti anni. Divenuto studioso di una teologia conclamata e attenta alla conservazione degli schemi più rigidi di una religione, alla quale non ha mai consentito, nella sua ricerca, di compiere passi in avanti verso una possibile interpretazione di nuovi rapporti tra il mondo che cambia e la sostanza di una riflessione e di pensiero e di etica che possa agevolare il cammino verso la strutturazione di un mondo migliore.
Molti quotidiani hanno messo in risalto la sua dipendenza dal pensiero di Sant’Agostino. Addirittura il cardinale Cristoph Schonborn, arcivescovo di Vienna, ha detto: “Benedetto XVI, il primo Papa teologo dopo secoli. Resterà a fianco di sant’Agostino. Il primo Papa che scrive un libro teologicamente scientifico e approfondito su Gesù”. Un’esagerazione inaccettabile, solo a chiarire questo inusuale accostamento tra teologia e scienza. Rapporto tormentato da millenni tra le interpretazioni della natura e la sostanza della trascendenza. Si dimentica che a Sant’Agostino deve essere riferita la verticalizzazione della struttura della Chiesa nella separazione tra  la “massa damnationis” dei credenti e il clero (uguale: parte scelta) che con la sua autorità predispone gli itinerari verso la salvezza.
Agostino pensa alla grazia di Dio come unica imperscrutabile condizione di salvezza per i laici (uguale: popolo) che di suo non ha altro che la menzogna e il peccato. Ma se la salvezza viene da Dio e non è in potere dell’uomo fare nulla per meritarla, perché Dio salva gli uni e non gli altri? A chi, con quale criterio la misericordia e la giustizia divina daranno l’elezione che rende capaci di volere il bene? è questo -ammette Agostino- un mistero insondabile; della giustizia divina possiamo solo essere certi che è tale, ma non possiamo conoscerne le ragioni. Non vi è risposta se non nella trascendenza assoluta della volontà divina. E queste incertezze porteranno mille anni dopo alla Riforma protestante voluta dall’agostiniano Martin Lutero.
Umberto Galimberti, nel volume Cristianesimo. La religione dal cielo vuoto (ed. Feltrinelli), lancia strali contro i filosofi cristiani che spiegano che non ci sono ragioni che confortano la fede. Anzi, dal punto di vista della ragione i contenuti di fede sono “paradossi” quando non “assurdi”. Eppure per gli uomini di religione i contenuti di fede sono una “verità”, anzi una verità che supera la verità che può essere accertata dalla ragione. Da San Tommaso a Benedetto XVI, passando per Giovanni Paolo II, vale il principio della scolastica medievale “philosophia ancilla theologiae”, Benedetto aveva spiegato, all’Università di Ratisbona nel 2006, che “fede e ragione non sono da separare né da contrapporre, ma devono andare sempre insieme, “ma quando c’è incompatibilità, occorre obiettare, a cedere deve essere comunque la ragione, per cui la fede è indiscutibilmente verità, anzi, verità assoluta”.
Benedetto XVI ha avuto paura del mondo, anche se nel Vangelo si legge che “Dio aveva tanto amato il mondo”. è stato nemico delle varie teologie della liberazione per le quali tanti uomini hanno perso la vita, mentre si privilegiavano le teologie dell’Opus Dei e di Comunione e Liberazione. Viene da dire che oggi la più temibile obiezione contro Dio è costituita per il credente non tanto dalla filosofia, dal sapere, dalle parole, ma dall’agire umano, da quello tecnologico soprattutto, che sembra capace qui sulla terra di soddisfare le più profonde e antiche aspirazioni dell’uomo: potenza, ricchezza, piacere, felicità senza dover attendere l’avvento del regno celeste.
Galimberti, che analizza la testimonianza dell’adesione religiosa, critica pesantemente Benedetto XVI per avere “relativizzato” la responsabilità del popolo tedesco nel confronto del massacro del popolo ebraico e non solo.
Il Papa, nel suo viaggio ad Auschwitz nel maggio 2006, ebbe a dire: “Occorre umile sincerità nel non negare i peccati del passato e tuttavia non indulgere a facili accuse in assenza di prove reali o ignorando le differenti pre-comprensioni di allora”. Pre-comprensione che è quel pre-giudizio tedesco che  condiziona ogni giudizio con la conseguenza che non si d ...[continua]

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