Con il Visitors Program delle istituzioni europee un numero considerevole di funzionari, giornalisti, uomini d’affari, studiosi e rappresentanti politici riesce ad ottenere un invito a Bruxelles, Strasburgo ed altre sedi europee, per conoscere i variegati aspetti della realtà comunitaria. Per una o più settimane compiono un giro tra Commissione, Parlamento, Banche europee, Ambasciate, Uffici studi, Gabinetti di importanti dirigenti. Deputati, direttori, capufficio, ma anche commissari e leaders politici vengono interpellati perché accettino di dedicare un po’ del loro tempo a questi visitors, scegliendo loro chi vedere e per quanto tempo. Si tratta di un investimento importante per il futuro: non pochi degli invitati saranno (e qualche volta sono già oggi) occhi, orecchie e sensori importanti che i loro paesi rivolgono verso le istituzioni europee, diversi sono già diventati ministri, sindaci, direttori di giornali o televisioni, ambasciatori, dirigenti d’azienda.
Ewa Osniecka, giovane funzionaria polacca nel suo Ministero per l’integrazione europea (direttamente sottoposto alla Presidenza del Consiglio), ha tanta voglia di raccontare della Polonia che alla fine sono io che intervisto lei, non viceversa. “Voi dovete considerarci europei più che slavi... Siamo molto meglio informati sulla realtà europea di tanti di voi (confermo: è così). Siamo preparati a sostenere tutti i sacrifici necessari -cosa volete che siano per noi, che abbiamo dovuto tante volte ricostruire il nostro paese!” In un perfetto inglese racconta delle trasformazioni che nel suo paese si stanno imponendo a ritmo accelerato per “entrare in Europa” al più presto: l’amministrazione viene decentrata, programmi di riequilibrio regionale vengono messi in opera, la privatizzazione delle aziende procede, la gente studia le lingue e comincia a viaggiare. E’ fiera che uno dei più prestigiosi rettori del Collège d’Europe a Bruges (Belgio) sia stato polacco -il prof. Lukacewski- e sottolinea che ora la Polonia stessa dispone di una analoga istituzione dove si formano giovani europei di vari paesi.
La funzionaria polacca europea riesce a trasmettere un senso di attesa e di speranza che si augurerebbe a tanti svogliati costruttori d’Europa all’ovest.

“Come fate voi a sostenere credibilmente la possibilità di un nuovo ordine internazionale, se l’Europa non è in grado di risolvere uno dei suoi problemi annosi come quello di Cipro? Volete davvero dare agli invasori turchi la possibilità di mettere il veto all’ingresso di Cipro in Europa?”
La domanda di Themis Themistocleous, direttore di un telegiornale cipriota, è ricorrente. Non c’è greco-cipriota -di alto o basso rango- che non la ponga. Cipro -come Malta- vuole entrare al più presto nell’Unione europea e vi è un accordo di massima che il negoziato di adesione cominci subito dopo la riforma costituzionale dell’Unione che partirà dalla Conferenza intergovernativa del 1996 (“Maastricht II”).
Ma a Cipro vivono due comunità, dal 1974 ferreamente divise da una infausta linea verde presidiata dall’ONU: turchi al nord, greci al sud. Nicosia, la capitale, è divisa come lo era Berlino, ed in quel caso muri e fili spinati non dividono soltanto due sistemi politici, ma -cosa ben più profonda- due civiltà da secoli e forse da millenni antagoniste. Non è che prima dell’invasione le cose andassero benissimo: la minoranza turca si sentiva oppressa dalla maggioranza greca, la quale a sua volta si vedeva minacciata dal grande fratello: la Mezzaluna dall’Anatolia con una zampata poteva colpire Cipro.
Come successe nel 1974, provocando così non solo l’ingloriosa fine del regime dei colonnelli in Grecia (che alla fine pensavano di potersi annettere Cipro), ma anche una vera e propria epurazione etnica e successiva spartizione dell’isola dove è nato il mito dell’Europa (il toro..., you remember? ).
Nulla è più come prima: al sud non ci stanno più turchi, dal nord sono stati scacciati i greci, molti nuovi turchi sono stati importati dal continente, e l’idea di un’isola nuovamente unita nel suo pluralismo di lingue, culture e religioni fatica assai a farsi strada, tra mille progetti su come istituzionalizzare la diffidenza e l’ostilità tra le due comunità. I greci, normalmente assai filo-serbi per quanto concerne l’ex Jugoslavia, a volte hanno un baleno di comprensione quando si compara la divisione di Cipro (che anche doveva essere solo provvisoria) alle spartizioni progettate per la Bosnia.
L’Europa potrebbe essere un prezioso nuovo tetto comune per greco e turco-ciprioti, ma solo se entrambe le comunità sapranno distaccarsi un po’ dalle rispettive potenze-madri e puntare su un futuro comune, nel quale la minoranza turca dell’isola -invece che inorgoglirsi per il suo staterello- fantoccio riconosciuto dalla sola Turchia- sarebbe il primo avamposto turco nell’Unione. Dove peraltro già oggi vivono e lavorano alcuni milioni di turchi immigrati.

Davvero solo un autogoal di euro-parlamentari asini, distratti ed incompetenti, la bocciatura di “Malpensa 2000” da parte del Parlamento europeo?
A leggere i giornali, è andata proprio così. Potenza delle veline governative! Dopo che la commissione trasporti del Parlamento europeo -col concorso forse inconsapevole di un signore di Cuneo, di nome Gipo Farassino, che magari volentieri avrebbe scambiato la Malpensa con un’autostrada Nizza-Cuneo, o forse ha firmato senza leggere- aveva raccomandato di soprassedere a “Malpensa 2000” come priorità europea, e scelto di investire i mezzi disponibili piuttosto per un progetto di trasporto combinato (ferrovia, nave, aereo, strada) verso l’area Adriatica e Balcanica, la rappresentanza del governo italiano è entrata in scena con decisione. “ Interessi greci e tedeschi stanno prevalendo, vogliono mantenere marginale l’aeroporto della Malpensa per favorire invece Monaco e Atene”, faceva sapere l’ambasciata; “datevi da fare per rimediare”, veniva ingiunto a parlamentari e giornalisti. Che si potesse dare una diversa interpretazione al concetto di “interesse nazionale” (o non curarsene affatto), e privilegiare una politica dei trasporti meno concentrata sull’affollamento dello spazio aereo e piuttosto attenta a costruire collegamenti verso l’ex Jugoslavia (dove la guerra non potrà durare in eterno), la Grecia, la Turchia, il Medio Oriente, e che quindi si potesse in piena coscienza scegliere un’alternativa al mega-progetto Malpensa, non veniva neanche preso in considerazione.
Così per tre giorni si è avuto sul palcoscenico il seguente copione: corrispondenti italiani (svegliati all’ultimo momento, dall’ambasciata italiana) rimproverano parlamentari italiani (distratti anche in aula) che si scusano imbarazzati coi giornalisti, leghisti di gran calibro (il Bossi, il Formentini, il Fassa...) che cercano di rimediare alla figuraccia del Farassino, Allenza Nazionale e Forza Italia che ci inzuppa il pane, persino gran parte del Pds ed il verde Ripa di Meana che intimiditi da cotanto furore nazionale scelgono la difesa di Malpensa 2000 (mentre i verdi lombardi avevano raccolto firme contro il progetto). E Buttiglione che alza il dito contro i comunisti che per ragioni “emiliano-romagnole” si sarebbero lasciati tentare dalla chimera adriatica invece che mostrare le palle nazionali (leggasi Malpensa). Nessun spazio -nessuno!- per chi avesse voluto spiegare le ragioni per le quali è davvero meglio puntare su collegamenti verso il Sudest europeo e mediterraneo, invece che intasare ulteriormente, con soldi europei, i cieli lombardi.

Un corpo di pace europeo, civile, composto tra l’altro da obiettori di coscienza: accogliendo un emendamento dei Verdi, il Parlamento europeo ne propone l’istituzione, ed incarica i suoi due negoziatori (la socialista francese Mme. Guigou ed il democristiano tedesco Brok) di sostenere questa raccomandazione di fronte agli esponenti dei quindici governi e della Commissione esecutiva. Così accanto alla discussione -sicuramente non oziosa- sulla comunitarizzazione della politica di sicurezza e di difesa e sull’istituzione di una forza armata europea, si dovrebbe affiancare anche questa seconda riflessione: perché non costituire in tempi rapidi un corpo europeo comune, nel quale -con compiti di monitoraggio, mediazione, prevenzione, ecc..- potrebbe sedimentarsi una parte della larga esperienza di quelle decine di migliaia di europei che negli anni scorsi hanno compiuto volontariato di pace nell’ex Jugoslavia e altrove?
Alexander Langer