Per avere fiducia sulla prospettiva di un’Europa unita basta riandare al 1945 e ai passi avanti che da allora sono stati fatti; la Germania va anche capita, il Marco era stato la condizione essenziale della ricostruzione postbellica; la grave sconfitta per colpa della Francia della proposta di Costituzione; la assoluta necessità di un esercito e di una sovranità europea; la grande forza di Erasmus e dei futuri matrimoni misti. Intervento di Daniel Cohn Bendit.
Daniel Cohn-Bendit, 1945, scrittore e politico, è stato uno dei protagonisti del maggio 1968 in Francia. Dal 1994 al 2014 è stato membro del Gruppo verde al Parlamento europeo eletto prima in Germania e poi in Francia. Nel settembre 2010 ha promosso, assieme a Guy Verhofstadt e Andrew Duff, la formazione del Gruppo Spinelli per il rilancio dell'integrazione europea.
Il testo che segue è tratto dall’intervento da lui tenuto all’Institut des hautes études de défense nationale il 19 novembre 2018.
Parto dalla mia storia personale e dal perché l’Europa è importante per me.
Sono nato nel 1945, a Montauban, in Francia. Sono stato concepito dopo lo sbarco in Normandia. I miei si erano rifugiati là in fuga dalla Germania. Immaginate la reazione dei miei genitori se all’epoca avessi detto loro: tra cinquant’anni non ci sarà più una frontiera tra Francia e Germania, non ci saranno più soldati, non ci saranno più controlli tra i vari paesi...
Per me l’Europa rappresenta un progresso di civiltà incredibile, inimmaginabile. Spesso si sente dire: "è impossibile”. Lo si diceva anche quando si è iniziato a costruire l’Europa, e invece... La parola impossibile non vale per l’Europa. Questo non significa certo che tutto vada bene o che tutto andrà per il meglio. Dico soltanto che guardando da dove siamo partiti, l’argomento dell’impossibilità non regge.
Spesso si dice anche che la pace non può più essere una definizione dell’Europa, perché è un fatto evidente, ma la pace è una condizione che diamo per scontata proprio perché c’è l’Europa. Se la gente sostiene che non c’è più il rischio di una guerra, è perché c’è l’Europa. Se un domani le sovranità nazionali prendessero il sopravvento e vincesse il nazionalismo, i vari nazionalismi, allora il rischio di una guerra potrebbe ripresentarsi. È la casa europea che ci permette di escludere l’eventualità di una guerra, in un continente che tra l’altro in passato è stato spesso teatro di guerre.
I valori della costruzione europea sono l’antitotalitarismo, cioè il rifiuto del totalitarismo nazista e dello stalinismo, la decolonizzazione e quindi la creazione di uno spazio democratico.
C’è un altro punto che per me è fondamentale nella costruzione dell’Europa. Perché non siamo riusciti ad avviare questo processo prima, dopo la guerra del 1870-71 o dopo il 1918? È stato solo dopo il 1945, dopo la disfatta totale della Germania e la fine del colonialismo francese e inglese, cioè quando non c’erano più stati sovrani che aspiravano a esercitare un dominio, che si è potuto iniziare a costruire l’Unione europea. Una condizione essenziale è quindi che nessuno stato sia egemonico. Altro elemento importante è che in Europa gli stati grandi e quelli più piccoli abbiano tutti la stessa importanza.
La prima idea è stata quella di costruire un’Europa della difesa. Nel 1954 i tedeschi l’avrebbero voluta, ma i francesi, con una votazione all’Assemblea nazionale, dissero di no, perché per loro ciò avrebbe significato mettere in questione la sovranità nazionale. In seguito si è tentato di risolvere le divergenze puntando sulla cooperazione economica con gli accordi su carbone e acciaio, fino ad arrivare, dopo una lunga evoluzione, alla situazione attuale.
La questione della sovranità è al centro di tutti gli sviluppi europei, perché in passato l’emancipazione e la sicurezza dei popoli è sempre dipesa dalla loro sovranità nazionale e dalla loro capacità di difenderla.
La cooperazione economica e in agricoltura e il mercato comune hanno portato benefici, ma un po’ alla volta tutto è diventato più difficile. Vi ricordate il serpente monetario? Successivamente si è iniziato a parlare di moneta unica. Helmut Schmidt e Valéry Giscard d’Estaing avevano incaricato Pierre Werner di elaborare un piano, ma l’idea risultò troppo complicata nell’attuazione per via delle grandi differenze tra gli stati membri. Helmut Kohl e François Mitterrand ripresero il progetto una decina di anni dopo. Va riconosciuto che molti progressi sono spesso stati resi possibili dalla capacità di Germania e Francia di prendere delle iniziative assieme.
Inizialmente, nel dibattito sulla moneta unica, si registrarono resistenze sia da parte della Germania che della Francia. Per la Bundesbank e per il ministro delle finanze tedesco era necessario un rigore economico-finanziario che la Francia non sarebbe stata in grado di applicare né avrebbe voluto farlo. Dal drammatico periodo nazi
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