Una Città22 / 1993
Maggio


EX JUGOSLAVIA. SENZA RITORNO. A Sarajevo la gente non si affretta più agli incroci sotto tiro dei cecchini. E' un segno di rassegnazione. Nelle campagne la pulizia etnica è cosa fatta. A raccontare è Toni Capuozzo, di ritorno dalla exJugoslavia. COSA ANCORA? E' lo sfogo disperato di una donna mussulmana di Mostar che non riesce a capire come si possa essere giunti a tanto. In NULLA DI PEGGIO CHE ASSISTERE INDIFFERENTI Gianni Sofri ci spiega le posizioni del pacifismo radicale di Gandhi, che comunque non escludeva in via eccezionale l'uso della violenza. In seconda, terza, quarta, quinta.
LA PAURA DELL'EUROPA. Le considerazioni di Cohn Bendit sul fatto che l'emigrazione è un male, sulla brutta definizione etnica dell'essere tedesco e sulla necessità della Germania di liberarsi di una cattiva coscienza solo dannosa. QUEL CHE SONO è l'intervista al giovane tedesco Edgar Lissel, sul senso del senso di colpa. LENINISMO LEGHISTA è l'intervento di Rocco Ronchi. In sesta e settima.
QUANDO MARX, BAKUNIN E PROUDHON... Franco Melandri ci parla di Proudhon, di come alla vigilia della Prima Internazionale tutti i problemi che assillano ancora la sinistra fossero già sul tavolo. In ottava e nona.
LEI E GLI ALTRI è l'intervista a Alide Tassinari sulla differenza sessuale, sulla relazione fondante con l'altro, sui limiti da porre al desiderio. In decima e undicesima.
COSE MINIME. Paolo Lacchini, in carcere per anni per detenzione di sostanze stupefacenti e oggi in semilibertà, ci racconta la vita quotidiana di un carcere pieno di tossicodipendenti.
In dodicesima e tredicesima. Insieme al racconto di don Dario Ciani sul suicidio di un giovane polacco, venuto in Italia per cercare un lavoro e finito in carcere per rissa.
CONDANNE A MORTE è l'intervista a Sandro Veronesi sulla pratica della pena di morte così diversa dalle ragioni di chi la vuole. POVERTA' PERDUTA, è la prima "stazione" di meditazione su alcune parole chiave, di Gianluca Manzi. In quattordicesima e quindicesima.
L'AGENDA VECCHIA è quella di Igor Bararon, ebreo di Sarajevo, che pensa di non tornare in una città che non sarà più come prima. In ultima.