Michele Salvati è un economista, politico e politologo italiano, deputato dal 1996 al 2001 e primo teorizzatore del Partito democratico. Tra le sue pubblicazioni ricordiamo Tre pezzi facili sull’Italia. Democrazia, crisi economica, Berlusconi (Il Mulino, 2011) e Capitalismo, mercato e democrazia (Il Mulino, 2009).

Il combinato riforma costituzionale e riforma elettorale ha suscitato tanti sospetti. Lei cosa ne pensa?
Il punto dolente, dove c’è uno strappo, un atto di fiducia eccessivo nel sistema politico italiano, è quello della legge elettorale, non quello della riforma costituzionale, che è una cosa modesta, diciamolo molto francamente. Le modificazioni importanti che fa questa riforma sono fondamentalmente due: l’eliminazione del potere di fiducia del senato e la sua trasformazione in camera delle regioni, o delle autonomie, e in secondo luogo la modifica delle prerogative delle regioni eliminando i casi di sovrapposizione netta tra regioni e stato dovute alla riforma del Titolo V, che assegnava poteri importanti alle regioni anche seguendo una moda allora prevalente di andar dietro alla Lega.
Quindi la riforma costituzionale di per sé è relativamente modesta: una riforma che avesse voluto accrescere sul serio i poteri del premier e del governo, a mio avviso anche abbastanza saggiamente, avrebbe introdotto la fiducia costruttiva e la capacità di scioglimento del parlamento in capo al premier; condizioni presenti entrambe in due costituzioni sicuramente eccellenti come la tedesca e, a seguito di quella, la spagnola.
Dopo la repubblica di Weimar, di scioglimento in scioglimento del parlamento (dovuti alla congiunzione delle opposizioni entrambe contrarie al governo, però impossibilitate a mettersi d’accordo tra loro), si arrivò a Hitler. Di qui la sfiducia costruttiva: non puoi sfiduciare il premier se non hai già pronta un’altra coalizione che è un po’ il problema che avremmo noi se dovessimo ritornare a un sistema puramente parlamentare nel quale bisognerà, nella buona sostanza, mettere insieme tutti quelli che sono contro i Cinque stelle. Il che naturalmente non farebbe altro che dare ulteriore fiato ai Cinque stelle, per nulla pronti a governare ma prontissimi ad approfittare dell’insoddisfazione dei cittadini di fronte alle performance molto modeste sia di questo governo che dei precedenti.
E' questa la prospettiva che lei intravede nel caso che vinca il no?
Beh, in una situazione di incapacità di crescita dell’economia, che poi è il guaio grosso che abbiamo, un’incapacità che dura ormai da una ventina d’anni e non dà segni di finire, molto probabilmente se salta il referendum e con esso quasi necessariamente l’Italicum, la nuova legge elettorale che si farà sarà giocoforza una legge più di tipo proporzionale. Il rischio, quindi, della formazione di uno schieramento abbastanza raffazzonato di personaggi che vogliono continuare a governare, sarà molto forte. Saggiamente, dal loro punto di vista, i Cinque stelle si sono tirati indietro, quando in realtà sarebbero i favoriti da una legge elettorale come quella approvata dalla Camera in luglio, sia perché sono avanti nei pronostici, sia soprattutto perché nel probabile ballottaggio le destre voterebbero per loro; lo si è già visto. Ma stranamente preferiscono ancora un periodo, diciamo, di macerazione dell’assetto tradizionale in modo da aver più tempo per prendere contatti con persone che diano almeno l’apparenza di saper governare un sistema complesso come l’Italia. Al momento loro non hanno nessuno, però stante la predisposizione di molti tecnici e intellettuali italiani a correre in soccorso del vincitore, anche i Cinque stelle potrebbero mettere in piedi un’apparenza di governo. Ma questo non adesso, donde loro continuano una sorta di aventino, votano contro l’attuale legge elettorale e aspettano di vedere che tipo di governo potrà formarsi con una legge elettorale diversa di tipo proporzionale. Questa è un poco la situazione come la vedo adesso. Di qui la mia predisposizione per il sì.
Ma la sua analisi parte dall’economia e, se si può dire, dallo stato del mondo globalizzato, un’analisi niente affatto ottimistica…
Sì, nel saggio cui lei, credo, fa riferimento, espongo la mia idea su un programma che sia democratico quanto è possibile nella situazione attuale. E l’ho scritto proprio per reazione a tante pubblicazioni recenti che parlano di crisi della democrazia, o comunque di una situazio ...[continua]

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