Amicizia e politica
Scrivo di getto, di ritorno dal funerale di Salvatore, senza il tempo di rileggere almeno alcuni brani del mio amato Montaigne. Senza il tempo di riflettere sulla grande letteratura esistente sull’amicizia, sentimento profondo e difficile. Ed è soprattutto la mia ignoranza di psicologia che avverto come limite a ciò che mi sento di dire. Perché sentivo Salvatore come amico fraterno? E perché sono sicuro che Salvatore nutrisse lo stesso sentimento per me?
La politica, la nostra passione dominante, è stata centrale nella lunga costruzione della nostra amicizia. Entrambi avevamo scelto di studiare economia -e altre scienze sociali, storia soprattutto- perché spinti dalla stessa aspirazione di dare un contributo al miglioramento della nostra società. All’inizio degli anni Sessanta, nel nostro paese, era difficile sfuggire all’influenza del marxismo. Di qui, scelte politiche e professionali simili: Cambridge e Modena, il lento distacco da illusioni radicali, l’interesse crescente per la socialdemocrazia e per la versione scozzese del liberalismo, a mano a mano che i nostri studi proseguivano in campi sempre più vasti. Molte scelte politico-culturali le facemmo insieme. Comune, a Modena, fu la critica economica e politica alla tesi del salario come “variabile indipendente”; comune il distacco dai movimenti extraparlamentari negli anni 80; comune l’avvicinamento alla politica tradizionale e istituzionale del nostro paese; comune l’attenzione per i travagli del Pci: il partito che raccoglieva allora il grosso dei ceti più poveri e sfavoriti in una prassi “quasi” socialdemocratica, ma al tempo stesso impediva la prevalenza della socialdemocrazia nella sinistra italiana. Ne conseguì un appoggio per “la svolta” di Occhetto e poi un forte interesse per le vicende che condussero -troppo tardi- alla formazione del Partito Democratico. Il tutto non senza contrasti e differenze, Salvatore più “socialdemocratico”, io più “liberale”
Questo è il tessuto, il banco di prova della nostra amicizia. Ma l’amicizia è un’altra cosa. È il riconoscimento da parte di entrambi -un riconoscimento che si è venuto trasformando in certezza- delle affinità profonde che si sono manifestate nel lungo percorso comune che ho sommariamente descritto. Un riconoscimento che ha resistito alle tante differenze di opinione che la politica e la vita provocano, e che ha indotto a giustificarle, a trovarle coerenti in una persona diversa da te, ma che comprendi e alla quale attribuisci “integrità”, coerenza con quei valori profondi che sono anche i tuoi. Mai è venuta meno la certezza che entrambi avremmo fatto scelte coerenti con i principi che professavamo sulla base di una formazione culturale assai vicina. Scelte politiche un po’ diverse potevano rallentare per ragioni pratiche la frequentazione reciproca, ma mai mettere in dubbio le ragioni della nostra amicizia.
E per concludere questo breve e ingenuo ricordo rinvio al resoconto dell’ultimo dissenso che tra noi si è manifestato, e dal quale la nostra amicizia è uscita indenne. A chi può interessare, lo spiego nella mia recensione all’ultimo libro di Salvatore (Le ragioni del ritorno alla socialdemocrazia) che sta per essere pubblicata sulla rivista della Fondazione Brodolini, Economia&Lavoro.
Michele Salvati