Ferruccio Andolfi insegna Filosofia della Storia all’Università degli Studi di Parma. Si occupa dei rapporti tra umanesimo e individualismo, con particolare riguardo alla storia del pensiero del XIX secolo. Dirige la rivista La società degli individui.

Come nasce il progetto de La società degli individui, con quali finalità, aspettative, intenzioni? Cosa univa coloro che hanno dato vita al progetto?
La rivista è nata nel 1997 da un esperienza di ricerca e anche didattica, relativa al significato dell’individualismo nelle società moderne. Hanno partecipato alla fondazione studiosi, giovani e meno giovani, di varia competenza disciplinare (filosofi, ma anche sociologi, politologi, antropologi), italiani e stranieri. L’elemento comune era dato dalla convinzione che nell’Ottocento si fosse creata una frattura troppo netta tra la tradizione del pensiero sociale (e socialista) e quella dell’individualismo, fatto coincidere sbrigativamente con la sua versione egoistica e competitiva. Si potrebbe dire che il sentire comune fosse l’idea di poter ricostruire e alimentare forme di “individualismo solidale”. Naturalmente gli autori recano nei loro contributi proprie originali prospettive, non sempre coincidenti con questo schema, ma in linea di massima le tendenze più rappresentate sono quelle appena descritte.
Come concepite, dal vostro osservatorio, il rapporto tra individuo e società nell’epoca della globalizzazione?
Per la posizione mediana assunta sui temi dell’individualismo e della comunità la rivista si è attirata sia la critica di concedere troppo al punto di vista degli individui -un termine che certe correnti di pensiero ancora percepiscono con sospetto- sia al punto vista opposto, quello della comunità. In realtà il nostro sforzo è stato costantemente quello di pensare il passaggio moderno verso individualità autonome e differenziate come un evento complessivamente positivo, da non esorcizzare, e la comunità come una dimensione ugualmente essenziale, a patto di non ridurla a una datità che i soggetti debbano semplicemente accettare. Il fenomeno della globalizzazione non fa che radicalizzare quel passaggio avvenuto nell’epoca moderna, allargando gli orizzonti degli individui oltre lo Stato nazione. Ciò rende necessario pensare in modo nuovo il radicamento delle identità personali. Già Norbert Elias, che scrisse appunto il noto saggio La società degli individui, da cui è mutuato il titolo della rivista, ebbe ben presente questo problema. Per lui, e anche per noi, il processo di universalizzazione va assecondato -senza perdere d’altra parte sentimenti di appartenenza più locali, e rivendicando ai singoli il compito, sempre più difficile, di costituire i centri di raccordo di queste varie istanze.
Mi pare che tra gli autori che ricorrono spesso nei vostri fascicoli ci siano Landauer e Buber, pensatori a cavallo tra socialismo, tendenze comunitarie, ma animati anche da un forte spirito libertario. Che ruolo giocano queste figure nell’orizzonte ideale della rivista?
Negli ultimi fascicoli abbiamo dato realmente molto risalto a queste figure di anarchici pacifisti, mentre già nei primi anni abbiamo pubblicato testi inediti di Kropotkin e ricerche su un socialista sui generis come Moses Hess, molto sensibile al tema dell’autoorganizzazione della vita sociale. Di Landauer è comparso, in due puntate, nei nn. 26 e 27, l’intero scritto La rivoluzione, e di Landauer e Buber i saggi sulla comunità del primo Novecento (n. 30). La ragione di questo interesse sta nella capacità che questi autori mostrano di concepire una rigenerazione sociale che faccia a meno di qualsivoglia violenza, fondata cioè su una sostituzione progressiva dello “Stato in eccesso” con forme associative proprie della società civile. Anche le loro “utopie” sono più chiaroveggenti di altre: capaci cioè di autocritica, di vedere quali esiti drammatici hanno comportato certi modi di concepire la rivoluzione.
Quali sono altri autori cui appoggiate la vostra prospettiva teorico-pratica, e perché? Mi sembra che un’altra figura-chiave sia per voi, con uno sguardo al contesto americano, John Dewey, sbaglio?
Un autore a cui ci siamo frequentemente ispirati è Georg Simmel, che sentiamo vicino sia nell’interpretazione che dà della storia e delle forme dell’individualismo sia nella proposta teorica di integrare i valori della differenza, rivendicati dai romantici, con quelli ugualitari della tradizione illuministica. Per le stesse ragioni abbia ...[continua]

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