De Gaulle ha trionfato, e si appresta intrepido a far scoppiare un’altra bomba atomica. Chi è stato sconfitto? Le sinistre, non c'è dubbio: tutti gli uomini e tutte le formazioni politiche che portano questa etichetta non solo stinta, ma ormai passabilmente equivoca.
Perché sono state sconfitte in così malo modo, le sinistre francesi? Per una ragione classica, e più volte ridimostrata nel corso della storia europea contemporanea: perché hanno minacciato di prendere il potere e non l’hanno preso; perché hanno fatto paura al «partito della paura» lasciandogli poi tutto il tempo di riprender coraggio e fiato. È questa la classica debolezza della cosiddetta sinistra: l’esitazione davanti al rischio del potere. Esitazione ben giustificata, bisogna aggiungere: divisa e tuttavia stupidamente sicura di una solidarietà ideologica che risalirebbe al 1789, giacobina, girondina e leninista insieme; mezzo nazionalista e mezzo europeista, mezzo socialista e mezzo moderata, mezzo comunista, infine, e mezzo radicalsocialista, mezzo laica e mezzo cattolica progressista, la sinistra francese si è nutrita durante tutti questi anni del mito del Fronte popolare, ossia di un’unità che non aveva e che, se l’avesse avuta, l’avrebbe paralizzata, rendendo impossibile qualunque decisione. Giacché era più che evidente, ed è diventato lampante oggi, che -sul piano del crudo realismo politico- l’unione con i comunisti avrebbe creato quell’unità delle destre grazie alla quale appunto De Gaulle ha trionfato senza che si potesse neppure in via metaforica parlare di un’unità delle sinistre: ma se n’era visto passare il fantasma, e questo era bastato; d’altra parte non esisteva per niente, quest’unità; ne esisteva soltanto il fantasma, appunto, e lo spauracchio: le elezioni ne hanno dato la prova del nove.
Ma, più che sul piano del realismo, è su quello delle idee e degli scopi politici che il mito del Fronte popolare sul quale si erano mollemente adagiati i politici di sinistra, Mendes-France in testa, era disastroso. Giacché, in primo luogo, come il seguito degli eventi ha ampiamente mostrato, i comunisti non avevano nessuna intenzione di provocare la caduta del regime De Gaulle, troppo utile al governo sovietico per correre il rischio di un cambiamento. Naturalmente, quando De Gaulle parve atterrato, i comunisti francesi pensarono che fosse il caso di unirsi ai possibili successori; ma questo non era comunque nei piani.
Che senso aveva allora che i vari Mendes-France e Mitterrand insistessero con tanta, del resto falsa, lealtà sul patto che legava tra loro tutti i partiti di sinistra? Nessuno: era solo insipienza.
Che se, poi, per improbabile ventura, le sinistre avessero preso il potere, quale politica avrebbero esse fatto, o meglio: promesso? All’interno, pressappoco quella che promette Da Gaulle: riforme, partecipazione, cogestione, eccetera; all’estero, la medesima di De Gaulle più o meno, giacché la partecipazione comunista non avrebbe certo incoraggiato l’europeismo o l’anglofilia, né tantomeno attenuato l’antiamericanismo del generale.
Detto questo, mentre la vittoria di De Gaulle fa risuonare dei rintocchi di campana piuttosto lugubri per la cosiddetta sinistra, non solo in Francia ma in tutta Europa, la disfatta della medesima sinistra in Francia non significa gran che, come non significa gran che la vittoria (molto relativa) della sinistra qui da noi.
Perché, insomma, quando si siano esaurite tutte le considerazioni possibili intorno all’incapacità tattica e all’inettitudine strategica delle sinistre, la vera questione rimane ancora da toccare, ed è la questione delle idee; o, se si vuol usare un linguaggio più pratico, dei princìpi d’azione. Ora, i princìpi che isp ...[continua]
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