Marinella Perroni, biblista, insegna al Pontificio Ateneo Sant’Anselmo a Roma.

La lettura femminista della Bibbia, pur suscitando sempre grandi polemiche, è ormai un dato da cui non si può prescindere. A che punto è?
La lettura femminista delle Scritture nasce negli Stati Uniti alla fine dell’Ottocento, nel contesto della lotta per i diritti civili delle donne. Alla Bibbia si faceva ricorso per bloccare la richiesta delle donne di accedere ai diritti politici e per garantire che l’ordine sociale non venisse scardinato da esse, sovvertendo un dato acquisito come ordine divino. La teologia femminista, quindi, nasce dall’esigenza di liberarsi dalla Bibbia come strumento in mano ai maschi per impedire che le donne facciano richiesta dei loro diritti. The Woman’s Bible, curata nel 1885 da un gruppo di suffragette americane, può essere considerata la legittima capostipite della teologia biblica e dell’ermeneutica femministe.
In Italia queste arrivano solo dopo essere transitate per gli Stati Uniti e la Mitteleuropa, segno del nostro provincialismo culturale, imputabile anche al fatto che da noi la teologia è un elemento tipico della ecclesiasticità, non della cultura del Paese, come accade altrove. A questo deve poi aggiungersi il ritardo con il quale le donne hanno avuto accesso alla teologia. Le teologhe italiane sembra che debbano ancora premettere: "lo non sono femminista, però..." e per non usare questo agggettivo se ne usano altri, incerti, come "teologia al femminile", "per le donne", "in favore delle donne", basta non usare l’aggettivo "femminista", per carità! Adesso che trova ormai riconoscimento anche nei Palazzi Vaticani e non è necessariamente vista come qualcosa di sovversivo, esasperato, eccessivo, la teologia femminista comincia finalmente a essere digerita. Ma, tutto sommato, mi sembra che continui a essere ghettizzata come una teologia per il bene delle donne, un’esegesi che riscopre le donne, mentre oggi ha prospettive più complesse: finché non leggiamo tutta la storia in termini femministi, è la storia che ci rimette, non le donne. E’ una pretesa molto, molto più ampia.
Oggi, le teologhe e le esegete femministe sono convinte che non bisogna circoscrivere l’interesse al dato femminile, alle figure femminili delle scritture ebraiche e cristiane né, tantomeno, che debbano essere solo le donne a occuparsi di questa riscoperta. L’esegesi femminista non accetta più di farsi cirscoscrivere esclusivamente alla lettura del dato femminile e a un’interpretazione che vada bene solo alle donne. Però, e qui sta l’ambivalenza, è vero che il dato di partenza è stato riscoprire il femminile dichiarato della Scrittura e quindi le figure femminili, la questione donna, ecc.
Il problema è stato affrontato, e ancora si affronta, dall’emergenza più evidente, ovvero dal bisogno di riscoprire la Bibbia anche come parola sulle donne, per le donne, delle donne. E’ stato un limitativo, ma indispensabile, punto di partenza.
Una parte dell’esegesi femminista continua su questa linea della scoperta della dialettica maschile e femminile, con i women’s studies e con Gli studi sul gender e la loro applicazione alla primitiva storia cristiana.
C’è una lettura che va oltre questa impostazione sulla dialettica dei generi…
C’è, infatti, una linea molto più avanzata, portata avanti da quelle teologhe, prima fra tutte l’americana Elisabeth Schussler Fiorenza, che cominciano a voler uscire totalmente da questo cortocircuito e quindi rifiutano anche la lettura per genere. Secondo questa linea, bisogna piantarla di credere che siamo arrivati, finalmente, a una piena riscoperta, dicendo che il mondo è diviso in maschi e femmine, innanzitutto perché è un criterio riduttivo che lascia fuori altre categorie, scegliendo l’eterosessualità come unica connotazione dell’antropologico, mentre la realtà dice altro.
Le teologhe più avanzate pensano che "femminista" significhi semplicemente vettore di quella parte della storia che non ha mai avuto voce. "Femminista" è quindi rappresentativo non di un genere, ma dell’esclusione, e il movimento femminista è la punta di diamante di questa richiesta di inclusività, non di genere, ma dei senza voce. Una parte della teologia femminista ora pretende di porsi come teologia di coloro che pretendono l’inclusività come criterio.
E’ una definizione di prospettiva, non di genere. In realtà, almeno qui in Italia, vengono appena ora digeriti la lettura femminista e gli women’s studies, che r ...[continua]

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