Una Città219 / 2015
Febbraio


«Repubblica federale! Quante cose in questa parola! Essa significa autonomia dell’individuo, autonomia della corporazione, autonomia del Comune. Essa contiene in sé sola la Rivoluzione intiera. Sì, noi acclamiamo questa repubblica, ma
esigiamo che ce la diano tutta intiera fino nelle ultime sue conseguenze. Abbiamo la parola, vogliamo la cosa.
Se ci si rifiuta, se si fermano nella via in cui si sono testè mossi, non si sarà fatto un passo avanti, ma un passo
 indietro, e al popolo ingannato non resterà che a contare nella sua storia una mistificazione di più.
Federazione viene dalla parola latina: foedus, foederis, che significa: patto, contratto, alleanza.
Dunque chiunque si pronunzia per la Federale prende partito per il regime dei Contratti
contro quello dei governi; federale è sinonimo di anarchico»
da "Lo Stato”, pubblicato nella collana Propaganda Socialista dell’Associazione della Plebe, 1880


Religione e politica
Cosa sta succedendo in Medio Oriente?
Intervista ad Andrew Arato

Carovana del dialogo
Dopo "Charlie Hebdo”
Intervista a Jamila Hassoune

Tollerare l’intolleranza
Noi e l’Isis
Intervista a Stephen Eric Bronner

L’apprendista
Il modello tedesco
Intervento di Giorgio Allulli

Pedagogia cooperativa
L’esperienza di un centro di formazione
Intervista a C. Daniele e D. Messidoro

Facciamole noi!
Imprese familiari e internazionalizzazione
Intervista ad Alessandro Scaglione

Al servizio di chi vive la mia stessa sofferenza
Un centro sperimentale di salute mentale in Puglia
Intervista a C. Minervini, M. Guida, A. Caforio, M. Sterlicchio, V. Pesari, M. Chirico, D. Guido, A. Sterlicchio e G. Tescari

Il futuro delle pensioni
Né solidarietà né equità
Intervento di Francesco Ciafaloni

L’asola e il bottone
Il racconto del grande naturalista
Intervista a Pietro Omodeo

Vent’anni di niente
La Bosnia Erzegovina a vent’anni dalla guerra
Intervista a Zlatko Dizdarevic

Tu non hai capito niente!
Un anno con una quinta elementare
Intervista a Franco Lorenzoni

Una sfida epocale
Il magistero di papa Francesco
Intervento di Marco Boato

Io sono...
Che cosa ci definisce?
Lettera di Belona Greenwood

Una giustizia speciale
A un mese dall’attentato a "Charlie Hebdo”
Lettera di Francesca Barca

I berberi e l’islamismo
I marocchini e il fondamentalismo
Lettera di Emanuele Maspoli

Appunti di un mese

In memoria

Reprint

La visita
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La copertina ritrae il centro sperimentale di Latiano, in provincia di Brindisi.
È dedicata alle "persone con esperienza” che, da nord a sud, con l’aiuto di psichiatri illuminati, ma anche di infermieri e familiari, nonostante qualche ricaduta e pur dovendo talora continuare a prendere farmaci, oggi possono condurre una vita "normale”.

Continuiamo la discussione su quello che sta succedendo dopo l’attacco a "Charlie Hebdo”; intervistiamo sulla situazione internazionale Andrew Arato, e l’amica Jamila Hassoune su come i giovani maghrebini hanno vissuto l’accaduto. Pubblichiamo inoltre un intervento di Stephen Bronner e torniamo sull’argomento negli appunti delle penultime.

In questi anni di crisi si è tornati a guardare con interesse al modello formativo tedesco. Giorgio Allulli ci spiega in dettaglio cosa significa per i tedeschi educare attraverso il lavoro e per il lavoro, addentrandosi nelle caratteristiche del cosiddetto sistema duale fondato sul contratto di apprendistato, che non è un vero contratto di lavoro e nemmeno una formula per agevolare l’occupazione; si tratta invece di un contratto formativo che interessa il 50% dei giovani tedeschi che passano il 70% del tempo in azienda e il 30% a scuola; una qualifica, quella di apprendista, molto prestigiosa, senza la quale alcuni impieghi restano inaccessibili; Allulli ci parla di una cultura dove il lavoro manuale non è considerato una scelta di serie B come ci racconta invece, sempre in questo numero, Claudio Daniele costretto a lottare quotidianamente per ribaltare questo immaginario e ridare fiducia ai suoi ragazzini dei corsi di formazione professionale. Anche dopo il diploma, oltre la metà dei giovani tedeschi non va all’università, ma frequenta corsi di istruzione superiore, come le Fachhochschulen, delle sorte di università di "scienze applicate” che forniscono ugualmente il titolo di laurea, ma dove i professori, oltre ai requisiti accademici, devono poter vantare almeno cinque anni di esperienza professionale.

Nella storia di lavoro di Alessandro Scaglione esce lo spaccato di una generazione di imprenditori italiani, spesso geniali, che in pochi anni hanno portato le loro aziende a fatturati impensabili, rivelandosi però incapaci di gestire l’ingresso nel mercato globale, dove non basta che il commerciale parli inglese, ma va rivista l’intera cultura aziendale. Scaglione ci descrive una serie di esperienze dove l’internazionalizzazione è coincisa con un passaggio generazionale che, nel nostro paese più che mai, il più delle volte è l’inizio della fine dell’azienda. Mentre in Germania mediamente alla seconda generazione l’obiettivo è vendere o comunque affidarsi a manager esterni, da noi le insanabili liti tra fratelli per il posto di comando, e l’ostinazione a non coinvolgere figure con competenza manageriale, segno della grave mancanza di una cultura della cogestione, portano spesso le aziende familiari al fallimento.

Per le storie a raccontare è Pietro Omodeo, grande naturalista di fama internazionale, divulgatore dell’evoluzionismo in Italia, che ha maturato l’amore per le scienze naturali da bambino quando andava su e giù per le scale di Positano fra i muri a secco brulicanti di animaletti.

"Potrei scrivere anch’io di questi giorni come de "le mie prigioni”; per quanto si tratti di una prigionia molto rosea, che non è in fondo altro che una villeggiatura forzata, in compagnia di mia moglie, della mia piccola... Dove si dimostra che nessuno è indispensabile a questo mondo, e che se io facevo tante difficoltà per allontanarmi dal mio lavoro fu un giorno o due, in realtà nulla è cascato anche se sono stato via parecchi giorni. Merito questo dei fascisti che con una loro visita notturna sabato scorso, mi hanno consigliato a prendere qualche giorno di aria buona; perché fortunatamente non mi hanno trovato in casa”. Per il "ricordarsi”, pubblichiamo un testo scritto da Gualtiero Cividalli nel 1925, dopo essere scampato, per puro caso, a un’azione fascista che aveva portato alla morte di quattro persone. Antifascista della prima ora e fraterno amico dei fratelli Rosselli, impegnato nel movimento sionista, Cividalli emigrerà in Palestina alla fine del 1938, in fuga dalle leggi razziali.


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