Paola Cividalli Lazard è nata a Firenze nel 1925. Ha lasciato l’Italia nel 1938 e dopo aver riparato qualche mese in Svizzera con la madre e i fratelli, tutti assieme hanno potuto raggiungere la Palestina, dove li attendeva il padre, Gualtiero Cividalli, che li aveva preceduti. Nel 1941 è entrata nella sezione giovanile dell’Haganà. Nel 1944, dopo la maturità, si è arruolata volontaria nell’esercito britannico. E’ stata smobilitata nel 1946 col grado di caporale. Interrotta l’università nel 1947, ha combattuto la Guerra d’Indipendenza a Gerusalemme. E’ stata congedata nel 1949. Nel 1955 ha sposato Bertrand Lazard, un fisico francese mandato in Israele per studiare un processo di produzione dell’acqua pesante presso il centro Weizman. Dopo il matrimonio si è trasferita a Parigi dove oggi vive con Bertrand. Hanno quattro figli: Daniel, Myriam, Anne e Emmanuel, e diversi nipoti. Almeno una volta all’anno torna in Israele, dove ancora vivono le sorelle Lia e Bona, il fratello Piero e il figlio Daniel con la sua famiglia.

Mio padre e mia madre si sono conosciuti al liceo e hanno deciso di sposarsi quando avevano 13 e14 anni (c’è giusto un anno di differenza tra di loro). Mia madre era in classe con Nello Rosselli, so che già al liceo erano molto attivi.
Quello della mia famiglia era un background molto italiano, specialmente dalla parte materna. Il nonno della mia mamma, Alessandro D’Ancona, era senatore e amico della famiglia reale, è stato sindaco di Pisa e rettore della Normale di Pisa. Il fratello maggiore era stato senatore prima di lui, erano stati tutti molto attivi nel periodo del risorgimento italiano.
Io non l’ho conosciuto perché è morto dieci anni prima che nascessi. Ho un libro che il babbo mi ha lasciato, una copia delle "laudi d’oltremare” di D’Annunzio che era stata censurata dall’Italia perché c’era una cosa contro Cecco Beppe. D’Annunzio aveva scritto a mano con inchiostro rosso le frasi censurate e l’aveva indirizzata a mio nonno chiamandolo "maestro di italianità”. Non ho voluto venderla all’asta, cercavo un luogo adeguato. Mi è stato proposto di darla al Vittoriale e così ho fatto. Ma me ne sono pentita, perché al Vittoriale non avevano mai sentito parlare di Alessandro D’Ancona, insomma non hanno davvero saputo apprezzare. Sì, mi hanno ringraziato, ma non hanno nemmeno capito il valore.
Comunque ho fatto una fotocopia della pagina con la dedica "ad Alessandro D’Ancona maestro d’italianità” con la firma di D’Annunzio sotto, una firma grandiosa ovviamente.
Alessandro D’Ancona era un uomo straordinario. Anche il testamento che ha lasciato, inedito, è sorprendentemente profetico. Ne leggo la prima parte.
E’ una lettera ai figli allegata all’ultimo atto di volontà. La data è I gennaio 1898.
"Ai miei figli, io vi lascio, figlioli, in un mondo sconvolto. Nacqui in un tempo di speranze, che per troppo breve tempo ho visto effettuarsi, e me ne vado in un tempo di paura e di angosce. Il mondo è così stolto, che vorrà bere il calice di amari succhi, ma dagli orli dolci e lusinghieri che gli offrono gli utopisti, e in fondo al quale sta la delusione. Gli uomini corrono stupidamente dietro la chimera della perfetta uguaglianza, anzi dell’uniformità, contraddicendo alla natura che l’uguaglianza non ha voluto in nessuna sua creazione. Certamente la vita umana è piena di mali, ma cotesta non è la via per eliminarli. I sogni dei socialisti, collettivisti, anarchici, ecc. priveranno il mondo della libertà; e se pur le società umane potessero durare per qualche tempo come essi consigliano, lo spegnersi dell’energia individuale, il sopprimersi d’ogni originalità di pensiero e d’opere, l’annientamento dell’operosità umana farebbero perire di noia e di inazione l’uman genere. Quando poi il mondo si scuoterà dal giogo degli utopisti, risorgerà più potente lo spirito religioso e non il vero spirito, ma la superstizione, e alla dinamite sarà surrogata l’acqua di Lourdes. Succederà un periodo di fanatismo intollerante. Attraversando questo periodo i miei figli non credano essere nomi vani la morale e la virtù, ma si mantengano massimamente onesti, né dimentichino mai l’affetto doveroso verso la patria. L’uomo appartiene in astratto al genere umano, ma è cittadino soltanto del paese dove è nato. Si serbino dunque italiani, se anche sopravvengano tempi nei quali si rinfacci loro l’origine israelitica o come si dice semitica, che ha ad essi assegnato quell’arcano potere che governa le cose ...[continua]

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