53 militari israeliani rifiutano di combattere
per Sharon e per le colonie

Noi ufficiali e soldati combattenti di riserva delle Forze di Difesa di Israele (Idf), che siamo stati educati nel grembo del sionismo e del sacrificio per lo Stato di Israele, che abbiamo sempre servito in prima linea, che siamo stati i primi, per ogni compito, facile o difficile che fosse, a difendere lo stato di Israele e a rafforzarlo.
Noi ufficiali e soldati combattenti che abbiamo servito lo Stato di Israele durante lunghe settimane ogni anno, nonostante l’alto prezzo personale che abbiamo pagato.
Noi che siamo stati in servizio di riserva in tutti i territori e che abbiamo ricevuto ordini ed istruzioni che non avevano niente a che fare con l’ordine e la sicurezza dello Stato, e il cui unico obiettivo era di perpetuare la nostra dominazione sul popolo palestinese.
Noi che con i nostri occhi abbiamo visto il prezzo di sangue che l’occupazione impone su entrambe le parti di questa divisione.
Noi che abbiamo sentito come gli ordini che ricevevamo rispetto ai Territori stavano distruggendo tutti i valori introiettati crescendo in questo paese.
Noi che ora abbiamo capito che il prezzo dell’occupazione è la perdita dell’immagine umana dell’Idf e la corruzione dell’intera società israeliana.
Noi che sappiamo che i territori occupati non sono Israele e che tutte le colonie saranno destinate ad essere rimosse.
Ebbene, noi dichiariamo che non continueremo a combattere in questa guerra per le colonie, che non continueremo a combattere oltre la linea del 1967 per dominare espellere affamare e umiliare un intero popolo.
Noi dichiariamo che continueremo a servire le Forze di Difesa Israeliane in qualsiasi missione che davvero serva la difesa dello stato di Israele.
L’occupazione e la repressione non hanno questo obiettivo. E noi non vi parteciperemo.

Lettera apparsa sul sito di un gruppo di soldati riservisti israeliani (www.seruv.org) l’ultima settimana di gennaio. La mattina del 5 febbraio erano state inviate 1352 e-mail, la maggior parte delle quali di sostegno alla protesta. L’appello è stato pubblicato anche sul quotidiano israeliano Haaretz.