Qui ci sembra la cosa più giusta dare la parola all’amico Rimmon e alla sua disperazione.  
 
Rimmon Lavi, da Gerusalemme
Non trovo parole di fronte alle foto e alle notizie da Gaza dei bambini affamati; del nido d’infanzia colpito direttamente; dei nove bimbi morti e uno ferito gravemente, tutta la famiglia della dottoressa Alaa al-Najjar; dei profughi in marcia per l’ennesima volta tra le macerie dei rioni distrutti e i rifugi di tende e capanne che pur vengono colpiti; dei paramedici accorsi in aiuto, uccisi e coperti di sabbia. Molti in Israele non riescono a vedere nulla al di là delle atrocità subite nei villaggi e cittadine israeliane di frontiera dall’attacco barbarico dei terroristi quasi due anni fa, né a prendere coscienza di dove ci ha portato la guerra di vendetta interminabile del nostro esercito, uno dei più forti e armati al mondo, in un territorio densamente popolato, senza preparare o permettere un’alternativa governativa all’organizzazione fanatica di Hamas. 
Opporsi senza esitazione alla guerra e proporre un’alternativa civile e costruttiva alla cieca vendetta distruttiva senza scopo, se non la resa incondizionata e inverosimile di un movimento fanatico: questo avrebbe dovuto essere il compito della sinistra, ma purtroppo non c’è vera sinistra in Israele. Del resto, tra tutti quelli tacciati da Netanyahu e dalla sua coalizione di estrema destra di essere di “sinistra”, come se fosse una bestemmia, alcuni certo si sono svegliati, dopo il pogrom spaventoso del 7 ottobre 2023, dall’illusione che basti accettare il principio di due stati per due popoli per trovare una soluzione pacifica al conflitto centenario con i palestinesi. Questi nuovi convertiti all’inevitabilità della guerra eterna sono parte del campo purtroppo vasto su cui contano sia Netanyahu, per mantenere la maggioranza attuale, sia i capi dei partiti di centro che sognano una coalizione alternativa solamente “sionista”, cioè ebraica, senza il sostegno dei partiti arabi. Alternativa praticamente impossibile, ma che non porterebbe a nessun cambiamento di fondo, perché non minerebbe il postulato di supremazia ebraica, che blocca ogni possibilità di pacificazione e coesistenza tra le due popolazioni presenti in Terra Santa, o forse terra maledetta. Infatti, sondaggi attuali confermano che l’82% degli ebrei israeliani desiderebbero la scomparsa dalla striscia di Gaza dei due milioni di palestinesi, in maggioranza già profughi dal 1948, come nella proposta irresponsabile di Trump, espressione di vera e propria pulizia etnica. 
Non possiamo credere, noi di sinistra, di essere arrivati a tale fondo di disperazione da sperare che qualcosa di buono possa uscire proprio da un gradasso senza scrupoli, senza principi, senza onestà e senza responsabilità, come Trump, sia per l’Iran, sia per gli ostaggi, sia per la guerra a Gaza, sia per il problema palestinese. 
Io invece mi sono “svegliato” dalla tenace illusione (anche dopo l’inizio della guerra), che lo stato d’Israele, nato dalle ceneri dell’Olocausto, non potesse abbassarsi, malgrado la coalizione estremista e guerrafondaia, ad azioni che purtroppo devono essere considerate crimini di guerra; azioni i cui risultati, spaventosi per i palestinesi, sembrano dall’esterno genocidarie, anche se non programmati e dichiarati ufficialmente scopo della guerra. 
Proprio lo Stato degli ebrei, le vittime ultime di persecuzioni millenarie e del genocidio premeditato e pianificato di quasi la metà del popolo ebraico nella Diaspora, avrebbe dovuto essere l’ultimo al mondo a poter essere accusato di azioni del genere. Anch’io, infatti, in articoli e lettere in ebraico e in italiano pur molto critici della politica, delle decisioni e delle azioni del governo e dell’esercito d’Israele prima e dopo il 7 ottobre, negavo, fino all’inizio del 2025, che si dovesse includere l’accusa di genocidio. Certo mi sono opposto alla guerra di rappresaglia, prima ancora che iniziasse: ero, e sono tutt’ora convinto che solo la coalizione internazionale quasi unanime, inclusi i paesi arabi, che si era formata contro Hamas e il pogrom da esso perpetrato, avrebbe potuto sradicarlo da Gaza e aprire la via alla normalizzazione con Israele e all’avviamento di una soluzione per il problema palestinese. Era chiaro che una guerra di vendetta nella Striscia così affollata avrebbe smembrato subito la coalizione e deviato contro Israele la critica e le accuse internazionali. Ma credevo pur sempre che i casi testimoniati di crimini di guerra fossero incidenti di unità militari specifiche o di decisioni sbagliate dei servizi segreti, per lo più dovute alla disumanizzazione della popolazione palestinese, come complice di Hamas, e alla ricerca di vendetta. Mi attaccavo con le unghie alla speranza che l’esercito facesse inchieste serie sugli “incidenti” e cercasse veramente di ridurne la frequenza. Certo l’atmosfera generale dopo il pogrom era terribile: non per nulla esponenti della coalizione di governo, e non solo dell’estrema destra, si permisero, senza essere corretti o silenziati, di esprimere proposte e “strategie” terrificanti, d’immoralità assoluta e contrarie non solo alle convenzioni internazionali, ma anche allo spirito dei Profeti di cui l’ebraismo si considera erede e divulgatore. 
Dunque cosa mi ha “svegliato”? La ripresa della guerra senza meta dopo la breve tregua con la liberazione di alcuni degli ostaggi civili israeliani, vivi o morti (inclusa la famiglia Bibas: madre e due bebè trucidati, padre rilasciato). Ma soprattutto il rifiuto del governo israeliano, a metà febbraio di quest’anno, di aprire, come era stato concordato, le trattative per un accordo che avrebbe dovuto mettere fine alla guerra, con la liberazione di tutti gli ostaggi e con l’istituzione a Gaza di un’autorità civile non sottoposta ad Hamas. Da allora si accumulano le continue notizie su nuovi “incidenti”, uno più atroce dell’altro, -dall’estero- anche le testimonianze fotografiche, qui in Israele autocensurate da tutti i media, della tragedia palestinese. 
I più di cinquantamila morti, 90% civili e circa 70% sicuramente non impegnati con Hamas e altri gruppi terroristici, senza contare i sepolti sotto le macerie; lo sfollamento di circa il 90% dei due milioni di palestinesi di tutte le età per vuotare centri abitati affollatissimi così che i bombardamenti aerei, le distruzioni e le azioni militari terrestri siano “in accordo con il diritto umanitario internazionale”; gli attacchi diretti su ospedali; il blocco prolungato degli aiuti umanitari, cibo, acqua, farmaci e combustibili; addirittura sperando nella rivolta del popolo affamato contro le bande armate; e il rifiuto del governo israeliano a qualsiasi trattativa che possa far sperare nella fine della guerra. Guerra per cui promettono la “vittoria completa”, cioè l’irrealistica resa incondizionata di Hamas. Tutto ciò non può più essere considerato “danni accidentali” di guerra in zona abitata. I professori Blatman e Goldberg, studiosi dell’Olocausto e dei genocidi del XX secolo, riconosciuti come tali da tutto il mondo libero, avevano già mostrato all’inizio del 2025 che i dati (confermati persino dall’esercito israeliano) sono spaventosi anche rispetto ad altre tragedie del secolo scorso -escludendo, appunto, da un lato l’Olocausto, caso estremo e unico, e dall’altro le bombe atomiche sul Giappone-: i bombardamenti a tappeto degli alleati, le guerre d’Algeria, del Vietnam, dell’Afganistan e della Cecenia, e la persecuzione degli uiguri, tutti fatti che le grandi potenze riescono a sottrarre alla storia dei crimini di guerra. Eccetto che per la Convenzione internazionale sul genocidio del 1948, in altri eccidi non è stato necessario dimostrare premeditazione e pianificazione a scopo esplicitamente genocidario. Israele in questa guerra mina la base stessa dell’esistenza dei palestinesi a Gaza. Così li aggiunge a popoli le cui tragedie, ognuna terribile e diversa, sono state riconosciute dal mondo intero: il genocidio degli herero in Namibia per mano dei tedeschi; quello degli armeni compiuto dagli ottomani; gli ucraini affamati da Stalin; i cambogiani sterminati dai khmer rossi; i bosniaci musulmani dai serbi a Serbrenica; i tutsi dagli hutu in Ruanda; gli abitanti del Darfur dagli arabi in Sudan; i rohingya dalla casta militare in Myanmar e infine gli yazidi in Iraq dall’Isis. 
E non mi soffermo su quello che succede in Cisgiordania: ventidue nuove colonie ebraiche, espropriazione di terre private, evacuazione di campi profughi come a Gaza, espulsione violenta di comunità di pastori dalle loro terre e attacchi su villaggi arabi da parte di teppisti armati, con la collaborazione o la tacita protezione dell’esercito. Né si pensa all’odio che Israele ha seminato nelle nuove generazioni. 
Molti purtroppo in Israele continuano a dichiarare che non ci sono innocenti a Gaza: la mia risposta, con profondo dolore di patriota israeliano, è che se a Gaza tutti e a tutte le età sono colpevoli e coinvolti, allora anche noi in Israele siamo tutti responsabili di ciò che viene fatto a nome nostro.