Una Città216 / 2014
Ottobre


«Il borghese è l’amico dell’ordine, nel senso che ha paura del rumore, dell’agitazione, delle manifestazioni, degli omnibus ribaltati, del pavé divelto, del brusio dell’illuminazione stradale. Ma l’arbitrio nel governo, la confusione dei poteri, gli intrighi parlamentari, il collage delle idee, il piegare le leggi, l’abuso delle maggioranze, il caos nel bilancio, la corruzione generale non lo smuovono molto. La sua anima è come la Borsa, il minimo rumore la sveglia, la distruzione della vita morale non la tocca. Se guadagna, se le sue azioni salgono, si ritrova; se perde, o il suo capitale sta fermo, ai suoi occhi il mondo si capovolge»
Pierre-Joseph Proudhon

OTTOBRE 2014

\r La difesa dell’indifferenza
Sul disagio lavorativo
Intervista a Rosalba Gerli (pag. 3)

\r Il diritto dei diritti
Sull’articolo 18
Intervista ad Alberto Piccinini (pag. 7)

\r È finita la discesa?
Crisi: a che punto siamo?
Intervista a Bruno Anastasia (pag. 11)

\r Sono qui per restare
Su come la crisi ha colpito gli stranieri
Intervento di Francesco Ciafaloni (pag. 16)

\r Mare Monstrum
Sulla fine dell’operazione "Mare Nostrum”
Di Gianpiero Dalla Zuanna (pag. 16)

\r Otello a Prato
Su uno spettacolo in carcere
Interventi di Serena Padovani, Tekla Clark
\r e due attori-detenuti
(pag. 18)

\r La rivoluzione coi gessetti
Ricordiamo Alberto Manzi
Intervista ad Alessandra Falconi (pag. 21)

\r La faglia geopolitica
L’occasione perduta dell’Ucraina
Intervista a Paolo Calzini (pag. 27)

\r L’ansia delle madri
Un ruolo in crisi
Intervista a Marina Valcarenghi (pag. 32)

\r Quando si sfida quell’1%
A Milwaukee al seguito dei community organizer
Intervento di Diego Galli (pag. 37)

\r "E se”
E se l’Ebola arrivasse a Norwich...
Lettera di Belona Greenwood (pag. 40)

\r La festa del sacrificio
Un rito antico a Casablanca
Lettera di Emanuele Maspoli (pag. 41)

\r Il referendum
Sul referendum in Catalogna
Lettera di Alessandro Siclari (pag. 42)

\r L’appello dei generali
Cento generali scrivono una lettera
a Netanyahu (pag. 42)

\r La visita
La visita è alla tomba di Italo Calvino (pag. 43)

Appunti di un mese (pag. 44)

Riletture (pag. 46)


Dedichiamo la copertina alla straordinaria esperienza dei community organizer di Milwaukee (di cui ci parla Diego Galli a pag. 37), che in queste settimane stanno cercando di convincere le istituzioni che la loro città non ha bisogno di un nuovo stadio finanziato, ma solo in parte, dai due miliardari newyorkesi che hanno appena comprato i Bucks, bensì di campetti sportivi e palestre per le scuole. Una formula, quella del community organizing, inventata da Saul Alinsky, sconosciuto nel nostro paese, ma figura leggendaria negli Stati Uniti: Hillary Clinton fece la tesi su di lui e Alinsky la invitò a unirsi ai suoi (ma lei si era già iscritta a Yale, dove conoscerà Bill Clinton); anche Obama è stato un "organizzatore di comunità” a Chicago prima di iscriversi a Legge (come ci aveva raccontato Marianella Sclavi in un’intervista uscita nel 2009). Jaques Maritain lo definì uno dei "tre rivoluzionari degni di questo nome” di tutto l’Occidente. Alinsky lottò tutta la vita per rendere protagoniste le persone comuni, incoraggiandole a non limitarsi a dire no, ma a mettersi assieme ad altri e a darsi da fare, ad assumersi delle responsabilità e anche a prendersi del potere, perché solo quando si sente di avere il potere di cambiare una situazione si pensa seriamente a come farlo. Un mestiere, quello dell’organizer, fatto di regole, disciplina e anche di tattiche sofisticate, quelle che hanno permesso, ad esempio, agli organizer di Baltimore di raccogliere i fondi per acquistare e ristrutturare oltre cento case abbandonate a causa della crisi e rimetterle sul mercato a prezzi accessibili. Gli organizer passano gran parte del loro tempo a parlare con le persone, anche con i "nemici”. Sempre Galli un anno fa ci spiegava che "gli organizer sanno già che almeno il 90% di questi incontri non porteranno a nulla. Ma tra le persone che incontrano ci sono quelli che definiscono i leader. Quando gli ho chiesto cosa intendessero per leader, Ojeda Hall, una donna che ora guida l’organizzazione di Baltimore, mi ha risposto che un leader è anzitutto una persona che ha un seguito, nel senso che se chiama qualcuno questo viene”.

Si è tornati a parlare dell’articolo 18 e di come coniugare flessibilità e un certo grado di garanzie. Abbiamo intervistato Alberto Piccinini, avvocato del lavoro, che ci ha spiegato come già la riforma Fornero avesse provato a limitare l’obbligo di reintegro al solo licenziamento discriminatorio, lasciando fuori i licenziamenti disciplinari ed economici. In fondo è grazie all’art. 18 se gli operai in tutti questi decenni non hanno avuto paura di criticare il padrone, di mettersi in mostra nell’organizzare scioperi e proteste, nel fare reclami individuali, finanche di denunciare, nel caso, il datore di lavoro. Per Piccinini il problema è che se si apre un varco, se cioè si ammette una motivazione, una qualsiasi, che dia la possibilità di non reintegrare anche nel caso il giudice stabilisca l’illegittimità del licenziamento, poi tutti potranno passare per quella via. Continueremo a parlarne.

Sempre sul lavoro, abbiamo intervistato Rosalba Gerli, che ci ha parlato di come i luoghi di lavoro siano spesso anche luoghi di disagio, non solo per la difficile congiuntura economica che crea un clima di insicurezza, ma soprattutto perché all’aumentare della sofferenza si assiste a un aumento dell’indifferenza da parte dei colleghi che, anziché solidarizzare, esprimono la loro paura attraverso l’aggressività; Gerli ha raccontato anche dell’interessante esperienza dei "gruppi specializzati” dove persone che non si conoscono, ma che sono accomunate da problemi analoghi, trovano accoglienza, ma anche la giusta franchezza per riconoscere i propri limiti come pure le proprie risorse.

C’è un gran parlare, in questi ultimi anni, della figura del padre, mentre quella della madre sembrerebbe destinata a rimanere immutata. Abbiamo intervistato Marina Valcarenghi che ci ha parlato di una madre che non è mai stata così sola, insicura e ansiosa, stretta tra vecchi modelli non più proponibili e nuovi modi di essere madre, e magari anche donna che lavora, che sono tutti da inventare. La novità, tutta positiva, di una maternità che viene scelta e non è più un destino, assieme a quella, da indagare, di coppie totalmente dipendenti da figli di cui "si occupano” molto, senza però educarli veramente.

Al centro ricordiamo Alberto Manzi, grande educatore.
Nel reprint, da "Giustizia e libertà”: "Perché Mazzini morì in casa Rosselli”.\r