Volognano,
8 ottobre 1925.

Potrei scrivere anch’io di questi giorni come de "le mie prigioni”; per quanto si tratti di una prigionia molto rosea, che non è in fondo altro che una villeggiatura forzata, in compagnia di mia moglie, della mia piccola... Dove si dimostra che nessuno è indispensabile a questo mondo, e che se io facevo tante difficoltà per allontanarmi dal mio lavoro fu un giorno o due, in realtà nulla è cascato anche se sono stato via parecchi giorni. Merito questo dei fascisti che, con una loro visita notturna sabato scorso, mi hanno consigliato di prendere qualche giorno di aria buona; perché fortunatamente non mi hanno trovato in casa. Ma non si può scherzare, neppure amaramente, sugli orribili fatti di sabato, che sono costati la vita a quattro persone e forse anche a più; e che dimostrano a qual punto di anarchia morale siamo ridotti. Non si può parlare, né scrivere, né sfogarsi con nessuno: bisogna occuparsi delle cose più futili, scherzare, ridere come se nulla fosse accaduto; e buttare giù in gola le lacrime di rabbia e di dolore per le condizioni di questa povera Italia, straziata dagli odi e dalle vendette di parte. Che giornata tormentata, piena d’irrequietezza, di sdegno represso, di desiderio di notizie, un aggirarsi su e giù continuo e irrequieto!
I miei suoceri mi hanno detto che ringraziassi la Provvidenza, se sabato sera (cedendo alle insistenze di Clara) mi sono deciso a venire quassù da Maria. "Se no probabilmente non ce l’avresti potuto raccontare...”. Pare che quelli stessi che sono venuti a cercare di me, che hanno minacciato e intimidito la portiera, rotto i vetri della porta e sistemato il campanello in modo che seguitasse sempre a suonare quando si sono convinti che io non c’ero; siano quelli che hanno ucciso l’avvocato Consolo, che sta in quei pressi.
Io sinceramente non avrei mai creduto di essere tanto conosciuto. Anche l’altra settimana, quando il Burci mi disse di avermi evitato una bastonatura in studio, con la scusa (giustissima del resto) che ne sarebbe andato di mezzo più che altro l’ingegner Giovannozzi, ci risi sopra e ci credetti fino a un certo punto, per quanto il Burci mi confermasse delle circostanze esatte, e mi dicesse di aver visto lui le note dove ero segnato con tre annotazioni: Circolo di Cultura (che si ostinano a chiamare Salvemini) Unione Nazionale (di cui in tutto ho firmato il manifesto, e poi non ho saputo più nulla) e infine un segno convenzionale che Burci diceva non sapere se corrispondeva alla massoneria. Poteva forse anche indicare il solo fatto di essere ebreo; del resto, a detta di Burci, è risaputo che il 90% degli ebrei sono massoni. Io non ci credo, ma dimostraglielo, se ti riesce; e dimostra a qualcuno che non sei massone, quando si è formata questa convinzione. Più neghi e più quello è sicuro.
E così questa inventata mia appartenenza a non so quale loggia (a meno che non sia considerato come tale anche il Circolo Salvemini, che ho sempre considerato un mangia-massoni, tanto più che una volta sentii dire dalla contessa Viviani in casa Orvieto, che nel saccheggio del circolo erano state trovate e portate in strada come trofei e arse insieme ai mobili e ai libri, delle toghe e delle bandiere massoniche) mi dovrebbe mettere in una posizione relativamente preminente rispetto a tante altre persone.
Ancora ne sono poco persuaso, e penso alle discussioni avute coi colleghi di studio e con altri, che possono essere state riferite o riportate, allargandole; penso ai rapporti professionali e alle contestazioni avute con fascisti per ragioni varie; alla eventualità di invidie e gelosie professionali... ma non trovo nulla di plausibile; e ritengo tutte le persone con le quali ho parlato o discusso, incapaci di una vera e propria delazione.
Certamente sono stato forse poco prudente con discorsi e discussioni inutili: ma da ora in qua, dati i tempi che corrono, bisognerà cambiar sistema.
Però ho la coscienza tranquilla anche nei riguardi di mia moglie e di mia figlia: ché proprio per loro mi sono astenuto fin dal principio di quest’anno da ogni manifestazione politica, e non ho preso parte a nessuna riunione; ché a quella costitutiva dell’Unione Nazionale arrivai tardi, e firmai il manifesto per la strada.
Se anche questo non basta, la colpa non è mia: e le idee non posso cambiarle per paura. D’ora in avanti mi asterrò tuttavia da qualsiasi azione o discorso, che non sia fra stretti amici, e speriamo che la situazione si ca ...[continua]

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