Sembrano diverse le ragioni che hanno tenuto finora lontana una parte del pubblico colto da Andrea Caffi. Una è d'ordine pratico. La frammentarietà dei suoi scritti, sparsi per l'Europa, e riordinati a poco a poco con affettuosa pazienza da amici ed estimatori quali Nicola Chìaromonte, Aldo Garosci, Lamberto Borghi, Gino Bianco, consente a chi non conobbe personalmente l'uomo di poterne afferrare solo per gradi la complessità e l'originalità del pensiero: un pensiero, del resto, che non essendo mai fuori ma sempre dentro la vita e che avendo della vita anche una certa frammentaria enigmatica indefinitezza, costituzionalmente si negava all'imbalsamazione accademica.
Ora, dopo i saggi storico-filosoiici di Caffi, curati da Chiaromonte su Tempo Presente e poi pubblicati da Bompiani nel 1966 con il titolo Critica delia violenza, seguono presso i'editrice Nuova Italia, presentati da Gino Bianco i preannunciati Scritti politici che ne sono il completamento. Si definisce così meglio la fisionomia geniale di un outsider dello spirito che, per chiarezza di stile, rettitudine morale, novità d'analisi, velocità di riflessi culturali, lascia ad ogni pagina convinto e insieme turbato il lettore. Leggere Caffi, oggi, è un'operazione profilattica contro le epidemie pseudofilosofiche che inquinano l'aria che respiriamo più della nafta e dei detriti industriali.

Per un quarto veneto, per un altro russo e per la restante metà cittadino del mondo, Andrea Caffi presentava un modello biografico in perfetta sintonia con la sua cultura: entrambi irrequieti, mobilissimi, plurinazionali, poliglotti aperti al relativo e ai rischi di libertà che corrono i pensieri e le vite senza dimora fissa in luogo anagrafico e ideologico. Prezzolini, che ebbe Caffi fra i collaboratori alla Voce, lo descriveva così venticinquenne: "Arrivava all'improvviso, non si sapeva da che parte del mondo, con gli abiti sgualciti e l'aria di avere un grande appetito. Scompariva allo stesso modo, senza che si sapesse perché né per dove. Da per tutto portava la sua gentilezza, un'aria d'innocenza, un enorme fascio di erudizione che slegava e da cui traeva regali a qualunque richiesta”.

Nato a Pietroburgo nel 1887, divenne, ancora adolescente, socialista e nella clandestinità lavorò al fianco di Kalinin e di Molotov. Diciottenne prese parte alla rivoluzione del 1905, conobbe le carceri dello zar. Partecipò alla grande guerra sui fronti francese e italiano, rimanendo ferito due volte. Tornato nella Russia dei Soviet, si mise in contatto con la sinistra menscevica di Martov, fu imprigionato alla Lubianka e all'ultimo momento sottratto da Angelica Balabanoff ad un plotone d'esecuzione bolscevico. Poi, di nuovo in Italia, collaborò nello stesso tempo al Quarto Stato di Pietro Nenni e di Carlo Rosselli e alle Ricerche religiose di Ernesto Buonaiuti. La sera andava alla russa al popolo, nei vecchi quartieri romani, parlando di storia greca e conquistando proseliti alla causa del socialismo. Nel 1926 si stabilì in Francia dove divenne membro simultaneo dell'emigrazione socialista russa e di quella italiana. A partire dal 1936 iniziava a frequentare Modigliani, Saragat, Tasca e Faravelli. La sua collaborazione con Angelo Tasca segnava anche un'adesione alle posizioni politiche che quel gruppo, il più lucido e spregiudicato dell'emigrazione antifascista, esprimeva: le riserve nei confronti dell'ambigua unità d'azione con i comunisti nei fronti popolari, il rifiuto dello stalinismo e delle alleanze di vertice con esso, la battaglia per l'autonomia del movimento socialista. Sempre visse in condizioni di povertà volontaria, in certi momenti di miseria, fino alla morte avvenuta il 22 luglio 1955 all'ospedale parigino della Salpetrière.
In Andrea Caffi, definito di volta in volta "spirito arcangelo”, "strano tipo”, "povero e prodigo”, si combinavano sotto la superficie cosmopolitica due grandi tradizioni di verità: quella del pensatore socratico, che si donava parlando più che scrivendo, e quella del narodnik russo del diciannovesimo secolo, animato da un'ansia pedagogica e di redenzione sociale intollerante d'ogni barriera tra la privacy dell'uomo di pensiero e il tumulto del mondo. L'idea di "società”, nel senso quasi più religioso che laico che l'intelligencija populista dava al termine, era preminente in lui. Il nucleo esistenziale della sua personalità fu quello di un filosofo peripatetico che aveva dialogato con Herzen, che aveva trasformato in Peritato ...[continua]

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