In questi ultimi mesi abbiamo assistito alla ripresa del dibattito sul relativismo, con prese di posizione sia da parte del pontefice che di cariche istituzionali. La sinistra si è sentita attaccata… Lei contro il relativismo prende una posizione molto netta e sostiene che in Italia ha trovato un ambiente fertile alla sua diffusione. Ci può spiegare?
Sì, l’idea, tipicamente relativistica, che contino più le opinioni che i fatti, e che non esistano vere conoscenze ma solo tanti punti di vista, nel nostro Paese ha trovato un terreno fecondo. Questo, probabilmente, è avvenuto per vari motivi. Innanzitutto per il peso eccessivo, proporzionalmente, che ha sempre avuto, da noi, la cultura umanistica rispetto a quella scientifica. Anzi, potremmo dire che in Italia una cultura scientifica non si sia mai affermata. E la cultura umanistica, proprio per le sue caratteristiche, è un terreno di coltura più favorevole al relativismo rispetto a quella scientifica. Quest’ultima è una cultura della realtà, delle cose dure con cui fare i conti, dei numeri, delle statistiche, ma anche di idee e nozioni valide in generale: è una cultura universalistica, che si lega a un’idea dell’universalità dei diritti dell’uomo e della stessa ragione umana. Naturalmente questo non significa che la scienza sia depositaria del senso della realtà, o peggio ancora depositaria della verità; significa però che la ricerca scientifica parla a tutti gli uomini del mondo con lo stesso linguaggio e non è qualcosa di distante o arcano, invece è la ricerca paziente del realismo, è la ricerca di teorie e spiegazioni che siano le più esatte e pertinenti possibile e siano utili a tutti senza distinzioni. In breve, il referente della teoria scientifica è la realtà materiale; di quest’ultima si possono dare descrizioni e ricostruzioni più o meno esatte, ma non è certamente vero che tutte le opinioni si equivalgono. Alcune opinioni, viste in una logica scientifica e antirelativistica, vanno scartate, per lo più perché sono inattendibili, a volte solo perché sono sciocche. Non vi è insomma uno spazio vuoto, aperto a illimitate possibilità di punti di vista.
Invece, referente primario della cultura umanistica non è la realtà naturale ma è il pensiero stesso, è l’arte, la letteratura, le tradizioni delle idee nella loro infinita varietà. E magari lo è anche il sentire, il vissuto personale, la libera soggettività svincolata dalla materia. Benissimo, è il regno della libertà dello spirito: ma qui, purtroppo, quasi tutto sembra possibile. Qui si dà più importanza alle idee interessanti che alle idee verosimili. Conta il soggetto, non l’oggetto. Nella stessa linea la cultura umanistica può talora -non sempre, naturalmente- indulgere all’idealismo, e sostenere in via teoretica la priorità dell’Io sulle cose.
Un secondo elemento che entra in gioco è il peso che ha nel nostro Paese la cultura giornalistica rispetto alla cultura dei libri. E’ una mia impressione, probabilmente difficile da documentare: ma ritengo che in Italia i giornali, col loro linguaggio, siano prevalsi in qualche modo sulla cultura dei libri all’interno degli scambi e dei discorsi abituali di commento sulla realtà sociale. Forse è vero che la media cultura ha preso, in questo modo, un’impronta giornalistica.
Poi c’è il peso della cultura cattolica. Non di quella più dogmatica, reazionaria. Mi riferisco invece a quella progressista, incline anch’essa al relativismo, all’apertura possibilista, al dialogo verso le altre religioni, alla valutazione positiva di fedi e credenze diverse indipendentemente dagli effetti di comportamento a cui esse inducono i fedeli. Qui sembra che tutte le religioni siano altrettanto buone; tutte, si dice, cercano Dio. Tutte le fedi sono amiche. L’ importante, quindi, è non essere atei, non essere materialisti.
Naturalmente nella tradizione cattolica è ben presente anche l ...[continua]
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