Pietro Laureano, architetto e urbanista, insegna Storia della Città e del Territorio presso la Facoltà di Architettura dell’Università di Bari; è consulente dell’Unesco per le zone aride, la civiltà islamica e gli ecosistemi urbani. E’ autore, fra l’altro, di Giardini di pietra, i Sassi di Matera e la civiltà mediterranea, Bollati Boringhieri, Torino 1993; La piramide rovesciata, il modello dell’oasi per il pianeta Terra, Bollati Boringhieri, Torino 1995.

E’ possibile definire i Sassi di Matera un ecosistema?
Lo sono sicuramente. I Sassi infatti sono un sistema di abitazioni scavate in un canyon, la gravina. Senza i sistemi geomorfologici e ambientali delle gravine, grandi fenditure originate dall’emersione degli altipiani calcarei delle Murge lucane e pugliesi e dall’erosione delle acque, i Sassi non esisterebbero. Sugli altipiani semiaridi delle Murge infatti le piogge non superano i 400 ml. di media annua (la stessa che si ritrova nelle zone del Mediterraneo meridionale già classificate come in via di desertificazione) e sono improvvise e concentrate in un breve periodo dell’anno, cui segue una lunga stagione di siccità. In questa situazione, che si può definire ad andamento catastrofico, le gravine rappresentano un sistema climatico molto particolare, se infatti avviene che in montagna, almeno sotto una certa quota, più si sale e più la vegetazione si fa rigogliosa, qui si verifica esattamente il contrario: l’altopiano, che sta in alto, è brullo e nella montagna, che si trova sotto, la vegetazione si fa più lussureggiante e la fauna più varia man mano che si scende verso il basso. E’ chiaro dunque perché siano state utilizzate fin dal Paleolitico da quelli che erano ancora degli ominidi (homo erectus o Neandhertal), dei nomadi che migravano al seguito della selvaggina: nelle gravine trovavano i burroni scoscesi da usare per la caccia (sappiamo infatti che i cacciatori paleolitici inseguivano le orde di grandi mastodonti facendo dei rumori per spingerle verso i precipizi), ma vi trovavano anche le grotte naturali per ripararsi. La conquista della caverna è stata importantissima e si è accompagnata alla padronanza del fuoco, col quale si poterono scacciare le belve che la abitavano; lì si riusciva a custodire il fuoco (dato che non lo si sapeva ancora accendere) e si otteneva l’acqua potabile, raccogliendo quella che cadeva dalle stalattiti dentro a pozze appositamente scavate. Nella zona di Matera si trovano tracce di sistemi idrogenetici anche nel Neolitico (9000 anni fa), quando si organizzarono i primi insediamenti stabili. Sulle Murge intorno alla gravina ci sono i resti di grandi villaggi circondati da enormi fossati circolari o ellittici, scavati nel calcare con attrezzi di pietra; se infatti nel Paleolitico si utilizzava l’ambiente com’era, nel Neolitico l’umanità iniziò ad appropriarsene trasformandolo e lo fece in maniera adeguata, non costruendo in altezza, ma immergendosi nel paesaggio, scavando i grandi fossati dentro i quali poi venivano realizzati degli ipogei, delle cavità, che servivano a diversi scopi. Il principale era la raccolta dell’acqua, vi troviamo già dei sistemi di cisterne collegati fra loro e usati per decantare l’acqua, che nei suoli calcarei non esiste allo stato libero (non ci sono fiumi o sorgenti), ma quando arriva improvvisa e violenta va nel sottosuolo e sparisce nel fondo dei canyon risucchiata da inghiottitoi. Perciò servivano delle cisterne per raccoglierla, mentre i grandi fossati avevano una funzione di drenaggio e dovevano proteggere il terreno dalle inondazioni. I primi studi in proposito tendevano a interpretare queste strutture concentriche a doppio anello come un sistema difensivo, applicando come sempre la nostra concezione dominante a situazioni antichissime (siccome noi siamo abituati a concepire la guerra come motore di tutte le azioni umane attribuiamo la stessa logica ai neolitici). In realtà scavi recenti hanno dimostrato che questi fossati possono essere attraversati con un salto, quindi non avevano alcuno scopo difensivo, tanto più che dentro non sono state trovate punte di freccia o armi, quindi non sono mai serviti alla guerra. Oggi è opinione comune di tutti i preistorici che le comunità neolitiche fossero pacifiche, anche perché la vera molla del progresso umano non è stata la lotta fra le specie, ma la simbiosi fra l’ambiente e l’umanità e fra l’umanità e le altre specie; l’alleanza, la possibilità di cooperare: questa è stata la ch ...[continua]

Esegui il login per visualizzare il testo completo.

Se sei un abbonato online, clicca qui accedere, oppure vai alla pagina Abbonamenti per acquistare l'abbonamento online.
Gli abbonati alla rivista hanno diritto all'abbonamento online gratuito!