Cafer Yilmaz, curdo originario di Dersim (Turchia), è chimico e fa teatro. Silvia Rosselli, originaria di Livorno, chimica, lavora nella ricerca e sviluppo presso la Sony a Stoccarda. Vivono a Mannheim.

Quando siete arrivati in Germania?
Cafer. Io mi sono stabilito definitivamente qui il 31 dicembre del ’77, avevo 6 anni. Prima, assieme ai miei cinque fratelli, stavamo nell’est della Turchia, da un nostro zio. Poi, quando è morta mia sorella piccola, siamo venuti in Germania per raggiungere i miei, che erano già qui.
Silvia. I suoi non avevano il telefono in casa e l’hanno saputo un mese dopo. Lì è scattato qualcosa, e hanno preso la decisione di stare tutti insieme in Germania.
Cafer. Non fu tanto una decisione; ti dici, faccio così per un anno, poi per un altro anno, aspettiamo che il secondo finisca l’anno scolastico, aspettiamo un anno ancora... Il tempo scorre e alla fine ti rendi conto che sono passati quarant’anni. D’altra parte la situazione in Turchia non stava certo migliorando. Quando il mio babbo ha visto che il clima peggiorava ha pensato che era meglio vivere in Germania. Se magari volevamo andare all’’università, in Turchia avremmo dovuto rinunciarci perché appartenevamo a una famiglia di sinistra.
Io non sapevo niente di destra e sinistra, però ho questo ricordo: nel villaggio dovevamo andare al pozzo a rifornirci di acqua, e noi bambini ci andavamo in gruppo con le nostre sorelle e cugine; eravamo in un quartiere di sinistra, e anche noi piccoli tenevamo i sassi in tasca (come nell’intifada) per difenderci e difendere le nostre sorelle e cugine, perché lì al pozzo arrivavano anche quelli del quartiere di destra e c’era sempre qualche zuffa.
Tornavamo spesso con delle ferite in faccia. E avevo tre-quattro anni! Forse ho realizzato come stavano le cose solo all’università.
Tuo padre era arrivato in Germania alla fine degli anni Sessanta...
Cafer. Mio padre era arrivato nel ’69, anche per scappare dalla situazione politica. Siamo curdi, e stavamo in una zona di scontri. I miei erano mezzadri, tenevano il campo di un Aga, e lavoravano per la decima; ogni tanto mio padre andava a lavorare anche a Istanbul, perché c’era bisogno di soldi, faceva lo stagionale in una fabbrica di scarpe. Lì a Istanbul c’era un ufficio tedesco per l’immigrazione, si faceva un test per vedere se potevi emigrare. Mio padre l’ha fatto; non era solo una prova fisica, ma anche di letto-scrittura. Ricordo che mio padre commentò: "È come quando vai a comprare un asino, gli guardi anche i denti...”.
Aveva 32 anni. Mia madre l’ha raggiunto due anni dopo, nel ’71, con me, che avevo un anno e mezzo; i fratelli più piccoli li avevamo lasciati in Turchia. Ma in quel periodo avevano problemi con il padrone di casa che, avendo le chiavi, entrava in casa e rubava le cose, specialmente la birra... Mio babbo non parlava bene la lingua e proprio non sapeva come spiegargli che non lo poteva fare. Un giorno ci ha sbattuto fuori casa; mio padre è tornato una sera e ha trovato me e mia madre, che non parlava una parola di tedesco, in mezzo a una strada con i sacchi pieni dei nostri vestiti. Quella sera ci siamo rifugiati a casa di una famiglia di amici che abitava lì vicino. Lì mio padre ha detto che così non si poteva continuare, e ha rimandato me e mia mamma indietro in Turchia.
Prima di arrivare in Germania, mio padre, nel ’68, era andato a Vienna, dove lavorava per una ditta di abbigliamento. Poi si è spostato vicino a Basilea, a Lörrach, e infine da Lörrach è arrivato a Ladenburg dove conosceva qualcuno. Un parente gli aveva detto: "Vieni qui che cercano per lavorare”, e gli aveva dato l’indirizzo. Lui era andato in stazione col foglietto in mano per mostrarlo alla biglietteria: "Voglio andare qui”. Quando è arrivato nel paese, ha mostrato il foglietto con l’indirizzo alle persone che incontrava per farsi spiegare a gesti come arrivare. In tutto ci ha messo tre giorni. All’arrivo, si è fatto presentare dal parente che gli aveva dato la dritta, e tutto questo sempre con una comunicazione più gestuale che verbale.
A quei tempi, fine anni Sessanta, non c’erano i dizionari turco-tedesco. Avevo problemi a trovarne io negli anni Novanta! Ne avevano, forse, gli studiosi di linguistica, magari potevi trovarlo in un’università, ma non nelle librerie. D’altra parte, mio padre e mia madre non sapevano nemmeno leggere e scrivere. Il tedesco l’hanno imparato col tempo, più mia madre che mio padre, che p ...[continua]

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