Paola e Claudia sono socie di una giovane agenzia di pubbliche relazioni, comunicazione ed eventi di Milano. Laura è collaboratrice della società.

Voi eravate colleghe in un’azienda che all’improvviso vi ha lasciato a casa. Potete raccontare?
Paola. Eravamo tutte colleghe nella stessa agenzia dove peraltro lavoravamo già da anni, io da venti; era un gruppo di lavoro coeso, stavamo bene insieme. Avevamo avuto dei segnali che le cose non stavano andando bene, però, forse per fiducia, per cecità o perché, alla fine, nonostante ci fossero dei problemi, ci piaceva il nostro lavoro, non abbiamo voluto o potuto vedere quello che stava succedendo.
Parliamo della fine del 2010. Da tre mesi non ricevevamo lo stipendio e già da un po’ la paga arrivava a tranche, con acconti, ecc. Proprio durante le vacanze di Natale, ci siamo parlate fra noi e abbiamo capito che così non poteva andare. A quel punto volevamo delle risposte e quindi abbiamo chiesto una riunione, avvenuta alla fine di gennaio, in cui ci è stato comunicato che saremmo stati tutti licenziati. E così è stato: il venerdì c’è stata questa riunione e il lunedì abbiamo ricevuto le lettere di licenziamento. Contestualmente ci è stato chiesto se qualcuno voleva entrare in una nuova società.
Noi volevamo avere rassicurazioni sugli stipendi arretrati, sulla liquidazione, il Tfr, invece è arrivata una risposta molto vaga... "quando venderò la casa…”. Lì è finita la fiducia, per me è come se fosse calato un sipario.
Claudia. Parliamo di persone con cui avevi un rapporto di amicizia al di fuori del lavoro, ci frequentavamo...
Paola. È stato uno shock! Un tradimento, la disillusione. Uno poi si dice anche: "Ma come ho potuto non capire?”. Come dicevo, ci aveva pure chiesto: "Chi vuole continuare nella nuova società?”, ma ormai la fiducia non c’era più e poi anche il modo: "Ho tre posti di lavoro, mi va bene chiunque, quindi scegliete in base a chi vuole rimanere”.
Claudia. Terribile!
Paola. Quando ci hanno annunciato la lettera, abbiamo deciso di contattare i sindacati e devo dire che le indicazioni che abbiamo ricevuto ci hanno aiutato a prendere delle decisioni che, forse, non avremmo preso, perché, in quel momento, noi tutte eravamo in preda al panico: cosa facciamo? Come possiamo tutelarci? Ci hanno detto: "Siate forti... dovete dire no tutte insieme”.
Claudia. Il sindacato ha anche cercato di parlare con il nostro datore di lavoro, ma senza successo. A quel punto, abbiamo deciso: "Va bene, andiamo avanti per la nostra strada”, e così abbiamo fatto.
Paola. Il primo di febbraio abbiamo comunicato che non saremmo più andate a lavorare. Poi, siccome siamo persone estremamente corrette, siamo andate a dare una sorta di consegna a chi rimaneva. Abbiamo restituito le chiavi dell’ufficio, le carte, ecc., e basta, non siamo più andate.
E una volta a casa?
Paola. Una volta a casa è stato il panico totale: "E adesso cosa faccio? Come riempio la mia giornata?”. La disperazione. All’inizio io piangevo sempre, decisamente, non ero di grande compagnia. Ricordo che Claudia mi telefonava e io ero in pigiama sul divano a mezzogiorno. Trovarsi da un giorno all’altro senza niente da fare era insopportabile, allora ci incontravamo fra di noi, andavamo a prendere il caffè, eccetera. Io avevo lavorato in quella società fin dalla sua nascita, da vent’anni. Claudia era arrivata qualche anno dopo.
Laura. Io ero lì da dieci anni.
Paola. Era una società di comunicazione, quindi ufficio stampa, marketing, pubblicità. Nonostante i problemi, che ci sono sempre, alla fine quel tipo di lavoro ci piaceva. E poi ci conoscevamo tutti, infatti ci siamo fidate fino all’ultimo. Davvero, ancora oggi mi chiedo: "Ma come ho potuto essere così stupida da non capire certi segnali, certe frasi?”. Il fatto è che quando uno è dipendente, certe cose proprio non le sa, non le capisce. Ce ne siamo rese conto ora che siamo diventate imprenditrici. Per esempio, quando uno comincia a parlare di una nuova società, vuol dire che quella in cui tu sei dipendente andrà a morire e andrà a morire male. Però questo è il senno di poi. In quel momento non ci eravamo neanche poste il problema di come c’avrebbe traghettato, eventualmente, da una società all’altra. La realtà è che dovevamo essere licenziate e poi cominciare con contratti di collaborazione che -a detta sua- erano equiparabili a un’assunzione e noi ad ascoltarlo... eravamo proprio delle ingenue.
Ovviamente ci siamo messe a cercare un a ...[continua]

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