Irene Groundinsky, Alessandra Pohlers, Paola Favaret, Riccardo Muro ed Elena Schifino vivono a Milano e fanno parte della Social Street di via Maciocchi.

Cos’è la Social Street? Come siete nati?
Elena. Dopo la nascita della prima Social Street a Bologna, anche a Milano c’era una forte curiosità, si cercava di capire cosa fosse una Social Street. Ovviamente al cuore dell’idea c’era la conoscenza tra vicini. È partita Lucia creando una pagina Facebook, per provare a raccogliere un po’ le persone del quartiere, o meglio della strada, in questo caso. Ha trovato subito dei compagni di viaggio, cioè noi, quindi Riccardo, Veronica, Caterina, un bel gruppo di "lavoro”. All’inizio i messaggi che passavano su Facebook erano del tipo: "Ho un problema con il lavandino: c’è un idraulico nei paraggi che magari può darmi una mano?”.
Tutto è iniziato così: molto semplicemente. Abbiamo poi cominciato a stampare volantini, abbiamo chiesto alle persone di aderire alla pagina Facebook, di diffonderla. Abbiamo quindi creato un primo evento di conoscenza: dalla dimensione virtuale siamo passati a un primo incontro vero e inaspettatamente sono arrivate più di duecento persone! Così, finalmente, quella faccina che vedevi su Facebook l’abbiamo potuta vedere fisicamente.
A questo primo incontro abbiamo anche provato a chiarire chi siamo, cosa vogliamo fare, dove vogliamo andare. Abbiamo chiesto a tutti i presenti di intervenire con delle richieste: c’era un’intera parete piena di post-it del tipo: "Sarebbe bello fare un picnic tutti insieme”, oppure "Creare un booksharing (uno scambio di libri)”. Erano tutte richieste finalizzate a uno stare assieme reale, fisico. E poi c’è stata l’iniziativa delle "Case aperte” per aprire davvero la porta di casa al vicino. C’è stato un gran numero di adesioni.
In sostanza, abbiamo chiesto, a chi se la sentiva, una disponibilità a ricevere dei vicini, organizzando delle attività all’interno delle rispettive case. In alcune case sono stati fatti dei laboratori con i bambini, in altre degli shooting fotografici o delle prove di cucina, proiezioni di film, letture di libri, percorsi di Milano attraverso la lettura delle cartoline antiche della città... è stato un grande successo!
Riccardo. Quasi subito è sorta l’esigenza di capire chi erano le persone che entravano nella pagina. Avevamo la necessità di gestire da un lato i giornalisti, dall’altro lato lo spam, che è un fenomeno ormai usuale: per spam intendo perlopiù quello commerciale oppure quello legato a messaggi devianti rispetto all’obiettivo della pagina; c’era anche la necessità di evitare l’ingresso di persone che potessero strumentalizzare, dal punto di vista politico prevalentemente, un bacino di utenza che oggi è arrivato a oltre mille persone.
Alessandra. A me piace questo aspetto che chiunque ha una proposta e fa parte degli iscritti oppure è della zona, può lanciarla. Per esempio, l’orto che abbiamo creato in piazza 8 novembre, in una grossa aiuola di viale Regina Giovanna, è diventato un punto catalizzatore, per cui si organizzano le semine, le coltivazioni, il raccolto; ci sono tutta una serie di momenti di incontro che ruotano intorno a questo orto. All’inizio erano cassette di polistirolo sgangherate, adesso sono stati realizzati dei bellissimi contenitori di legno gialli! Però è stata un’idea del tutto spontanea, non ricordo neanche più da chi è partita.
Riccardo. Il ruolo degli "amministratori” per come l’abbiamo inteso noi, è quello di "stare accanto”, aiutare, favorire. Per esempio, la signora Teresa non è su Facebook, però ha avuto il piacere di accompagnarci a fare delle visite di tipo artistico, l’ultima al Castello Sforzesco per vedere delle cose sull’arte lignea; lei è un’esperta di storia dell’arte...
Ma chi non frequenta i social network è escluso?
Irene. Ultimamente hanno convinto anche me a entrare in Facebook: digito poco, però guardo, seguo. Nella mia vita privata ho girato molto, vivevo in un posto solo per pochi anni e perciò ho sofferto molto della solitudine. Il mio lavoro era la decorazione, la pittura degli interni; ora, siccome è un lavoro che un po’ c’è o un po’ non c’è, quando ne sei sommerso va bene, ma quando cala ti ritrovi proprio abbandonata. Per me i bar erano essenziali, anche se non attaccavo bottone con nessuno perché sono timidissima, però il bar era un po’ il mio "Facebook”!
Pensavo anche a un altro fatto: anni fa si creavano delle cooperative nel mondo del lavor ...[continua]

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