Nella prefazione a Il mercato senza lavoro di Ferruccio Pelos, Pierre Carniti cita da Wassily Leontief. Se, in presenza dell’invenzione del trattore, i cavalli si fossero sforzati di produrre di più e di consumare meno biada per battere la concorrenza, sarebbe bastato un modesto miglioramento tecnico al trattore per metterli di nuovo fuori mercato. In presenza del trattore la sorte del cavallo è segnata: il macello. L’unico motivo per cui agli uomini non succede la stessa cosa è che gli uomini votano.
Che basti il voto per non finire al macello non è così sicuro perché non di solo voto vive la democrazia. Il Governo reale può trasferirsi a centri di potere finanziario, a enti internazionali. I centri dl potere finanziario possono rendere irrilevante il voto degli uomini. Ma è chiara l’essenza del ragionamento di Leontief -e di Carniti: la soluzione della gravissima crisi di occupazione che i lavoratori italiani attraversano non può consistere nella riduzione incrementale dei diritti o dei salari, o in incentivi incrementali a chi assume. Ci vogliono scelte politiche e mutamenti dei prodotti, del modo di produrli, del lavoro per produrli; e dei servizi, che possono essere un importante sostituto della produzione, e con effetti sociali importanti.
Il libro di Pelos non è una ripetizione estesa delle tesi di Carniti, ma un’analisi dettagliata delle cause della crisi, nazionali e internazionali, finanziarie e organizzative, della delocalizzazione, della frammentazione dei contratti, del dualismo, spesso della evanescenza delle tutele. Non è un libro di ideologie ma di numeri e di tabelle, per settore, per tipo di contratto, per genere, per classe di età. Può non bastare a dare tutte le risposte, ma dovrebbe aiutare a uscire dal generico. Un’attenzione particolare è dedicata, naturalmente, al lavoro non standard, alla cooperazione sociale, alla frammentazione della rappresentanza. È un buon contributo alla comprensione del mercato senza lavoro e dei contratti. Un esempio di riflessione sindacale che aiuta a capire come si sia passati dall’assurda, incomprensibile, concorrenza al ribasso sugli accordi Fiat e in politica all’accordo interconfederale sulla rappresentanza, criticabile dal punto di vista dei lavoratori marginali, non standard, migliorabile, ma non assurdo.
Le 150 ore per il diritto allo studio, di Francesco Lauria, racconta la storia, le premesse ideali e sociali, la realizzazione, lo sviluppo, la diversificazione, il declino di questa straordinaria esperienza di formazione dei lavoratori. La prefazione è di Bruno Manghi, di famiglia operaia torinese, segretario della Fim a Milano nei primi anni ’70, anche lui molto attivo nel promuovere, definire, realizzare le 150 ore. Questo vuol dire che il libro ripercorre la storia dell’educazione dei lavoratori dalle prime esperienze sindacali, attraverso le repressioni e le sostituzioni del Fascismo, fino alla Liberazione. E poi, naturalmente, parla di Aldo Capitini, Danilo Dolci, Lorenzo Milani, Paulo Freire, delle scuole popolari, delle lotte sindacali, del successo contrattuale, della varietà e pluralità delle realizzazioni.
Anche chi alla realizzazione delle 150 ore ha collaborato, più o meno marginalmente, può scoprire aspetti o settori che non ricorda, che non pensava ci fossero. I percorsi sono stati in parte diversi a Torino, a Milano, in Emilia. C’è la storia istituzionale -degli accordi, delle sedi- e la storia sociale e umana. Un intero capitolo è dedicato alle testimonianze contenute nell’archivio Cisl delle 150 ore. Si tratta di storie, opinioni, testimonianze, tra cui un vecchio può risentirsi nell’ambiente di allora: riconoscere delle voci, aggiungerne di nuove. Un capitolo è invece dedicato alle storie dei promotori, dei collaboratori significativi alla realizzazione del progetto: Paola Piva, Antonio Lettieri, Giorgio Benvenuto, Franco Bentivogli, Stefano Musso, Massimo Negarville, ecc. Dirigenti sindacali, insegnanti, attivisti. Un vecchio si accorge di averli conosciuti praticamente tutti; con un paio di eccezioni per distanza geografica. Un giovane può farsi un’idea della varietà e vitalità dei punti di vista.
Tutti siamo costretti a ricordarci quanto fosse forte, nella varietà delle tesi, l’entusiasmo, l’impegno, per l’istruire, educare, i lavoratori che non avevano avuto la possibilità di completare il percorso degli studi. Quella per partecipare alla formazione fu una vera gara, come si vede dalle testimonianze dei dirigen ...[continua]

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