L’epidemia da Coronavirus, che, all’inizio, in Italia, ha colpito soprattutto la Lombardia (47.520 positivi il 04/04/2020,), l’Emilia (15.932), il Piemonte (10.896), il Veneto (11.464), e che ora colpisce tutto il mondo, ha messo alla prova le capacità del Sistema sanitario nazionale. Le capacità, nell’emergenza, sono risultate appena adeguate. Le attrezzature per la rianimazione, i ventilatori per i pazienti in terapia intensiva, sono stati appena sufficienti. L’esito non è stato sicuro fino alla fine. Non ci sono stati malati non curati e lasciati soffocare. Sembra chiaro però che non ci sono eccedenze su cui contare nell’emergenza. Il Ssn è stato trattato come un’azienda, spinto a realizzare il just in time per i malati come se fossero automobili, che certo non sono.
Penso si possa dire che, malgrado l’attacco diretto cui è stato sottoposto negli ultimi anni, il Sistema sanitario nazionale ha retto, anche se a fatica, con l’eccezione, forse, della Lombardia. Ma non ci sono più margini di sicurezza. Ha retto perché ha retto la motivazione, l’etica professionale, la tenuta delle persone che ci lavorano. Invece è tendenzialmente inadeguata la capacità delle istituzioni pubbliche, Regioni e Governo, di procurare in tempo le risorse. Il Ssn mostra oggi gli effetti dei tagli dei finanziamenti, e quindi degli ospedali, dei letti, dei medici, realizzati negli ultimi anni. Potrebbe non reggere alla prossima emergenza, che purtroppo non si può affatto escludere. Può darsi che questo sia solo l’inizio dell’epidemia, che il contagio si allarghi ad altre regioni, che ci sia una seconda ondata. Siamo tutt’altro che fuori pericolo.
 
La sanità pubblica è più efficiente
e meno costosa di quella privata
È lecito chiedersi se la strada migliore per affrontare le emergenze future sia quella di potenziare le risorse del sistema pubblico o quella di cambiarlo radicalmente. Ha avuto spazio in Italia negli ultimi anni la tendenza strisciante a privatizzare il Ssn, rovesciando la scelta di realizzare il diritto alla salute attraverso la prevenzione, e l’universalismo e gratuità della cura, che aveva portato nel 1982 alla sua istituzione. Sostengo che la tenuta nell’emergenza, il confronto tra i costi e, soprattutto, il confronto tra l’attesa di vita media e le condizioni di salute dei cittadini nei vari paesi, assai positivo per l’Italia, escludono il ricorso sostitutivo ad aziende sanitarie private. Le aziende assicurative private forse possono affrontare l’emergenza di un singolo, non una emergenza sociale. Non esistono cure gratis naturalmente, come non esistono pasti gratis. Il Ssn viene finanziato attraverso la fiscalità generale, che ripartisce il costo su tutti i cittadini ed è ancora abbastanza progressiva, malgrado i guasti degli ultimi anni. Realizza perciò una redistribuzione della spesa dai più poveri ai più ricchi rendendo possibile l’accesso universale alla cura.
Anche la spesa complessiva, pubblica e privata, per la sanità in Italia è in realtà relativamente bassa. Raggiunge l’8,9% del Pil, sotto la media europea, che è del 9,1%. La spesa pro capite complessiva ($ 3391) e quella a carico dello Stato ($ 2622) sono più basse della media Ocse ($ 4002 e $ 3073, rispettivamente).
Ma, soprattutto, il Ssn ha una inconfrontabile disponibilità e diffusione territoriale di risorse tecniche e una sicurezza economica nelle emergenze che deriva dalla garanzia di ultima istanza dello Stato e dell’Unione europea e che nessuna azienda privata può avere. Se la sanità pubblica è in difficoltà per una emergenza sociale grave e ha costi che mettono in difficoltà lo Stato, l’Italia può rivolgersi all’Unione europea, come fa in questo momento proponendo di ricorrere a titoli di debito europeo. Anche le Unioni potrebbero disfarsi, gli Stati potrebbero crollare, se si verificasse una apocalisse sanitaria. Ma gli Stati non sono solo finanza; hanno i mezzi per intervenire sulle cause di un’epidemia, sui comportamenti dei cittadini, sulla distribuzione delle risorse, che nessuna assicurazione privata ha, né è bene che abbia. Gli Stati sono entità politiche, in grado di intervenire democraticamente sulla società. Non sono onnipotenti, non hanno la bacchetta magica, non possono bloccare le epidemie con una legge. Possono renderle però meno probabili. La protezione assicurativa è più garantita e universale se è pubblica. Ma la salute non dipende solo né soprattutto dalla disponibilità finanziaria. Dipende dall’ambiente, che può essere difeso solo da norme decise democraticamente e rispettate universalmente. Dipende dalla prevenzione, che non si realizza solo con scelte individuali ma richiede norme e scelte di governo. Se ci si ammala, la possibilità di recuperare la salute dipende dalla disponibilità delle risorse umane -medici e infermieri- delle medicine, degli strumenti indispensabili, non solo dai soldi. Il Ssn non è solo un fondo pubblico per la Sanità. È soprattutto una organizzazione, un insieme di professionisti preparati e motivati, di lavoratori specializzati con un’etica professionale, di autodifesa di gruppo, oltre che di edifici, posti letto e attrezzature. È stato realizzato all’interno di scelte culturali condivise, con discussioni e scelte politiche che hanno portato alla legge istitutiva del 23 dicembre 1978. Se entrasse in crisi non sarebbe facile da ricostruire. Il Sistema ha certo carenze e colpe, emerse anche in questa occasione, che ogni cittadino ha il diritto e il dovere di segnalare.

Alcune tragiche insufficienze recenti
Basta leggere i giornali, ascoltare la radio, in particolare le rassegne stampa, per rendersi conto che le carenze, anzi le tragedie, sono state numerose, soprattutto se si guarda al sistema dell’assistenza nel suo complesso.
Forse colpiscono di più, per la natura stessa dei colpiti, i morti nelle Residenze Sanitarie Assistite. Colpisce anche l’alto numero di medici e di infermieri morti, l’altissimo numero di positivi al virus negli ospedali, che promette un alto numero di morti, data la incurabilità della malattia e la presumibile debolezza e la presenza di altre patologie dei già malati. La mancanza di mezzi di protezione individuale, denunciata oggi dai medici, si è verosimilmente aggiunta al rischio inevitabile di chi cura i malati di una malattia molto contagiosa, mortale in una percentuale non indifferente di casi e, insieme alla scarsità dei letti, rende il ricovero praticabile solo in casi certi e gravi. Per tutti noi che potremmo averne bisogno lo rende un angoscioso incubo. Per i malati già ricoverati per patologie non da coronavirus è un grande rischio aggiuntivo.
Sembra un incredibile errore -diranno le organizzazioni professionali e i giudici se professionalmente o addirittura penalmente perseguibile- la decisione di trasferire un certo numero di malati dagli ospedali nelle Rsa, dove l’affollamento e la fragilità degli ospiti avrebbero dovuto far presagire il peggio. Sembra anche una decisione sbagliata impossibile da rimediare. Una volta partito il contagio in luoghi affollati e chiusi, con scarsi o nulli spazi privati, c’è poco da fare. Come abbiamo appreso, anche le navi da crociera, che non sono frequentate, immagino, da vecchi, fragili, poveri, ma sono affollate, sono fatte per ritrovarsi insieme, e non hanno zone private facilmente isolabili, diventano un lazzaretto, una anticamera mortuaria, se il contagio parte. Abbiamo visto che ci vogliono settimane, mesi, per riuscire a farle attraccare in un porto e provare a svuotarle. Il passaggio dalla vacanza alla tragedia deve essere stato terribile. La condizione dei vecchi nelle Rsa dopo il contagio genera angoscia anche solo a immaginarla.
Si sono visti in televisione morti lasciati in strada da automobili che poi spariscono, forse in Iran. Ma anche solo la prospettiva, che si sta realizzando qui, di morire in solitudine, senza un ultimo saluto, aggrava il normale timor mortis che forse ci accomuna tutti.

Prospettive non confortanti
Per uscire dall’angoscia e dal lutto, torno a qualche informazione complessiva e a qualche previsione, certo anch’essa non confortante.
I vari paesi europei, la Cina, gli Stati Uniti, il Giappone, l’India hanno sistemi sanitari diversi, con diverso peso del sistema pubblico. L’epidemia, se, come è temibile, si espanderà a tutto il mondo, metterà tutti i sistemi alla prova. Per ora ci sono dati aggregati e incerti. Il “Corriere della Sera” del 5 aprile riportava: “I casi di Coronavirus nel mondo hanno superato quota 1,2 milioni, mentre il numero dei morti si avvia velocemente verso la soglia dei 65.000: lo rende noto la Johns Hopkins University. Nel suo ultimo bollettino l’università americana specifica che i contagi sono ora 1.203.099, i decessi 64.774 e il numero dei guariti 246.893.” Su un sito pubblico si legge che negli Stati Uniti ci sono 124.632 positivi e 15.362 morti. Cosa può succedere se il contagio si propaga all’India e all’Africa stiamo per scoprirlo ora. Tutti i commentatori sono molto prudenti, citano la fragilità dei sistemi sanitari di quei paesi, la povertà, l’affollamento, la mancanza di informazione, di formazione, di attrezzature.
Si tratta di una catastrofe mondiale per dimensioni, la cui intensità locale dipende dalle condizioni ambientali e sociali esistenti, dai sistemi sanitari realizzati in passato, ma anche dalle iniziative politiche per migliorali. Non è una catastrofe naturale. Possiamo e dovremmo combatterla con tutti i mezzi che riusciamo a procurarci.
Nessuno si azzarda a fare previsioni sul numero di contagiati e di morti nelle prossime settimane anche solo in Italia. I più ottimisti cercano di prevedere e organizzare la “fase 2”, quella della ricostruzione, della inversione di tendenza dopo il picco, se e quando il picco sarà passato. Fanno bene a farlo. Perché l’umanità abbia un futuro dovremmo impegnarci con tutti i mezzi possibili. Non possiamo immaginare di riprendere a vivere come se il virus non ci fosse. La nostra prospettiva, e aspettativa, di vita è mutata, peggiorata. Quale sarà realmente la nostra condizione in futuro dipenderà anche dai sopravvissuti, di cui ci auguriamo di far parte, per un po’.

Raffaele Guariniello sulla sicurezza nell’attuale emergenza Coronavirus, link:
https://mail.google.com/mail/u/0/#inbox/FMfcgxwHMjmHklzFDWptGpfNDRTmtlbf?projector=1&messagePartId=0.1
Adeguamento del comportamento delle Regioni alla direttiva del Governo, 28 febbraio
https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/coronavirus-la-letalita-italia-tra-apparenza-e-realta-25563