Alberto Saibene, storico della cultura, lavora tra editoria, cinema e organizzazione culturale; ha curato per le Edizioni Comunità le antologie di scritti di Adrano Olivetti Il mondo che nasce e Città dell’uomo.
Carlo De Maria, storico del socialismo e delle autonomie sociali e territoriali, ha studiato le biografie di Andrea Costa, Alessandro Schiavi, Camillo Berneri e Giovanna Caleffi. Ha curato la pubblicazione del volume Intervento sociale e azione educativa. Margherita Zoebeli nell’Italia del secondo dopoguerra (Clueb 2012). è direttore dell’Istituto per lo studio della storia contemporanea di Forlì-Cesena.
La generazione di Adriano Olivetti
di Carlo De MariaÈ sempre un piacere poter intervenire alla Biblioteca Gino Bianco, per le memorie e le sensibilità di cultura politica che essa racchiude, conserva e valorizza. La presentazione odierna del libro di Alberto Saibene su Adriano Olivetti apre un ciclo di incontri che abbiamo pensato di intitolare "Per un’altra Italia”, con riferimento a quella tradizione libertaria, liberalsocialista e radicale dell’impegno politico e dell’intervento sociale che sarebbe riduttivo considerare alla stregua di una semplice "testimonianza” sommersa da una storia che è andata in direzione diversa. Si tratta, invece, di una vicenda composita e plurale che ha avuto un peso concreto, ancorché minoritario, nella storia civile del nostro paese e nei processi di alfabetizzazione democratica, di costruzione dal basso della democrazia, specie in alcuni frangenti particolarmente vitali della storia d’Italia, come negli anni della ricostruzione post-bellica. Non a caso nel titolo abbiamo voluto fare riferimento anche alle "buone pratiche”, nella convinzione che sia un passato che possa ancora parlare all’oggi e al domani, suggerendo modalità di critica sociale e di azione.
Introducendo il libro di Alberto Saibene partirei da alcune considerazioni sulla generazione di Adriano Olivetti (1901), di cui fanno parte tutti i protagonisti del nostro ciclo di incontri: Piero Gobetti (1901), Carlo Rosselli (1899), Aldo Capitini (1899). Una generazione di intellettuali che vivono, nella prima giovinezza, la cesura della Grande Guerra, poi la crisi dello Stato liberale e l’avvento del fascismo. Sono giovani accomunati da posizioni fondamentalmente "irrequiete” rispetto agli schieramenti politici del primo Novecento, proprio perché si misurano con la crisi della civiltà liberale e la parabola del fascismo. Queste trasformazioni epocali li portano a porre esplicitamente, da un punto di vista politico, il problema della novità, l’esigenza di un rinnovamento del pensiero politico e della militanza. Si pensi, ad esempio, alle formule anomale, rispetto alle corrispondenti "scuole”, di Gobetti ("rivoluzione liberale”), di Rosselli ("socialismo liberale”), di Capitini ("liberalsocialismo”).
Come ha ricordato Nadia Urbinati, quando uscì Socialismo liberale, Benedetto Croce obiettò -in modo molto significativo- che Rosselli era caduto nell’"errore logico di giustapporre” il liberalismo con il socialismo, coniando una "formula sintetica” che era un ossimoro. Secondo le parole di Rosselli, invece, non era "morboso bisogno di nuovo, ma constatato fallimento di tutte le vecchie posizioni”.
Anche Olivetti, negli anni Quaranta, arriva a una sua originale formulazione, la cosiddetta "utopia olivettiana”, più volte citata da Alberto Saibene, cioè L’ordine politico delle comunità: una nuova teoria dello Stato improntata a un federalismo radicale e libertario (lo "Stato federale delle comunità”). Del resto, la riflessione sul federalismo e sulle autonomie, in altre parole sulla "divisibilità del potere”, per usare la terminologia di Hannah Arendt, accomuna molti degli intellettuali più originali di questo periodo ed è una risposta alle storture e all’autoritarismo dello Stato moderno centralizzato, che ebbe come esito ultimo, tra le due guerre ...[continua]
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