Wolfgang Sachs, nato a Monaco nel 1946, si occupa del rapporto tra scienza, tecnologia e società, intrecciando le sue ricerche con quelle di Ivan Illich. In Italia ha pubblicato diversi saggi, fra cui Archeologia dello sviluppo, edizioni Macro. Attualmente è ricercatore presso il Wuppertal Institut in Germania.

Le tue ricerche, oltre che con Ivan Illich, si sono spesso intrecciate anche con quelle di Alexander Langer...
Ricordo con piacere il momento in cui, credo nel 1983, mi giunse la prima telefonata di Alex, che mi invitava a Trento per tenere una relazione sui costi sociali dell’automobile e sulla crisi della società automobilistica. Accettai perché mi piaceva l’idea di venire in Italia, così come mi piaceva partecipare ad un incontro che era in sintonia con la mia visione della ricerca, che deve essere abbastanza disciplinata e sistematica, ma che non si rivolge primariamente ad un pubblico accademico, di specialisti universitari. La mia ricerca si vuole confrontare soprattutto con la società civile, con le iniziative e le associazioni che sono impegnate nel campo ecologico, della pace, della democrazia. Alex era un politico che si poneva nella stessa prospettiva, che intendeva la politica come un’impresa volta a cambiare e a “colorare” man mano l’immaginario della gente, il “sentire” di chi stava cercando qualcosa di diverso. Cercava di fare politica oltre la politica e non aveva nel mirino gli equilibri convenzionali della politica istituzionalizzata, ma piuttosto puntava a confrontarsi con le aspirazioni presenti nella società. E’ su questo terreno che mi sono sempre incontrato con Alex: lui il politico che guardava oltre la politica, io l’intellettuale che guardava oltre l’università. Ad accomunarci c’era poi anche la matrice cristiana, che ci legava anche all’amico comune Ivan Illich. La prima volta che vidi Alex fu a metà degli anni ’60, nel periodo post-conciliare, in una sala dell’università di Monaco, dove parlava del rapporto tra la sinistra e la chiesa cattolica in Italia e di lui avevo mantenuto un ricordo vago, fino a che non lo rividi a quell’incontro di Trento. Il suo impegno ecologico, come quello per la pace, aveva alla base questa forte motivazione morale che gli veniva dalla matrice cristiana e non era né di tipo utilitaristico, né puramente rivolto a suscitare allarme nell’opinione pubblica. Con Alex ci trovavamo in sintonia anche nel coltivare la vecchia idea, etica ed estetica, che ci sia il giusto e il non giusto, il bene e il non bene. Insomma, non ci siamo mai sentiti troppo vicini agli apocalittici e ai pianificatori ambientali.
Partendo da questi presupposti qual è stato il vostro rapporto con la sinistra?
In un certo senso eravamo considerati tutti e due degli eretici, fuori dalla sinistra. Per Marx e per la sinistra, infatti, la società non deve essere solo interpretata, ma anche trasformata, mentre un ambientalista direbbe che la società non va principalmente trasformata, ma conservata. L’idea che la sfida principale sia oggi quella di conservare qualcosa è un sentimento profondo che ci ha spesso separato dalla sinistra e parlo di “sentimento” perché a livello intellettuale si possono certo trovare argomenti per sostenere che non c’è una netta contrapposizione tra il bisogno di trasformazione e quello di conservazione.
Già il definirsi “sinistra progressista” dà per scontato che il progresso va considerato desiderabile, ma per Alex era molto chiaro che quelli che politicamente si chiamano “conservatori” sono da tempo impegnati nella modernizzazione sfrenata in tutti i campi, nella concorrenza sul mercato mondiale, nella frontiera delle nuove tecnologie. Visto il mostruoso matrimonio tra conservatorismo e tecnocrazia, consumato già nel primo dopoguerra, era necessario riscoprire i valori conservatori, che vivono nella gente, per dar loro un’espressione diversa sul piano politico e Alex era sempre stato assai consapevole che i verdi dovevano avere la forza di nutrirsi di questi sentimenti rimasti estranei al mondo progressista. Così il sostegno dato nel 1987 a Ratzinger sul terreno della bioetica, sull’affermazione dell’integrità della vita, che aveva suscitato così tante polemiche tra i verdi, doveva servire a porre l’attenzione su questa possibile alleanza tra cultura verde e valori della conservazione. E’ stato uno dei pochi, anche in Europa, a porre questo problema.
Un’altra delle accuse che ci sono venute da sinistra è stata quella di voler ignorare ...[continua]

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