Ivano Casalegno è presidente della Associazione Arteria Onlus.

Ci racconti della Associazione Arteria Onlus e di questo progetto AbiTo Giusto?
L’associazione Arteria Onlus è nata nel 2005 e da sempre ha avuto un approccio di strada; molte delle attività proposte, soprattutto all’inizio, sono state di educativa di strada o comunque di animazione culturale in strada. Abbiamo portato “in strada” la biblioteca, la ludoteca, l’aiuto compiti, i corsi di italiano, lo sport, addirittura l’orientamento al lavoro. Per “strada” intendiamo giardini, piazze, luoghi di aggregazione informali, che sono un po’ una caratteristica del territorio dei quartieri Porta Palazzo e Aurora; a Porta Palazzo per antonomasia, con il suo famoso mercato, ma anche ad Aurora, subito dietro a Porta Palazzo, con i suoi giardini e le piazze. Noi siamo più presenti in Aurora, quartiere con una posizione particolare, un po’ schiacciato tra due grandi blocchi, da una parte Porta Palazzo, che attira ormai da tanti anni gli appetiti di diverse realtà, e dall’altra Barriera di Milano, che rappresenta la grande periferia nord, il territorio più multietnico, dove ci sono conflitti, ma anche tante sperimentazioni. Aurora è un po’ lì a metà, in mezzo a queste conflittualità, per capirci è il quartiere dove la Lavazza ha deciso di collocare la sua sede mondiale e allo stesso tempo dove ci sono centinaia di metri quadri di fabbriche Fiat abbandonate. Qui si costruivano i motori Fiat per le navi, ora è tutto disastrato, fatiscente, sede di molte occupazioni, come ad esempio quella famosa dell’asilo. Poi c’è stato lo sgombero, anche questo legato non a caso alla Lavazza, che per sei mesi ha militarizzato il quartiere, con gli accessi a tutte le vie bloccati dalle camionette della polizia e dei militari e bisognava esibire la carta di identità per entrare in casa. Questo è il nostro territorio e qui lavoriamo negli spazi pubblici aperti, come i giardini, e in altri luoghi, sempre pubblici ma chiusi, in particolare la casa del quartiere Cecchi Point, dove si svolgono attività educative, culturali e sociali.
Com’è cominciato il vostro impegno sul versante dell’alloggio?
La nostra associazione non si era mai occupata nello specifico del tema della casa. Da otto anni però partecipiamo a un progetto sull’empowerment giovanile, per ragazzi ventenni, quindi giovani adulti che si affacciano al mondo dell’autonomia lavorativa, familiare e anche abitativa. Abbiamo così notato un buco nel welfare e nei servizi territoriali, soprattutto nel caso di ragazzi stranieri senza cittadinanza italiana.
L’essere senza cittadinanza in Italia può essere una condizione usuale anche per un ragazzo che ha frequentato tutte le scuole medie e superiori qui, così come per un ragazzo arrivato con un barcone da qualche anno. Questi ragazzi stranieri senza cittadinanza non sono sufficientemente fragili, diciamo così, dal punto di vista delle norme per l’accesso alla casa: non hanno alcuna possibilità di entrare nelle case popolari semplicemente perché non hanno figli, non sono portatori di disabilità, non hanno anziani di cui occuparsi, sono ragazzi sani, che lavorano, così non hanno punteggio per la casa popolare o per tutti i progetti di inserimento abitativo. Allo stesso tempo non sono abbastanza “forti” per entrare nel mercato regolare abitativo, non hanno qualcuno che firmi la garanzia per loro. Io ricordo benissimo che mio padre ha fatto da garante per il mio primo affitto, perché sono un precario con partita Iva, situazione comune a tutti quelli nati dopo il 1980. Ma loro spesso non hanno la famiglia qua e, anche se l’avessero, si chiamano comunque Amadou, Abdul, Mohamed, Ibrhaim, pertanto scontano diffidenze e pregiudizi nel mercato della locazione, pur potendo pagare un affitto. Quali erano allora le possibilità reali di trovare casa per questi ragazzi ventenni, molti arrivati nel 2018 soprattutto dalla Libia e in prevalenza maschi, perché qui gli uomini hanno maggiori possibilità di trovare lavoro, grazie a tutto l’indotto di Porta Palazzo e del mercato del Balon? Certo, potevano andare a vivere in soluzioni illegali, precarie, irregolari, dalle soffitte agli alloggi sovrappopolati, soluzioni peraltro costose, ricavate in postacci, senza riscaldamento, solo con posti letto, senza doccia, dove non è possibile avere la residenza, cosa gravissima per uno straniero.
Durante la pandemia abbiamo ben capito cosa vuol dire non avere una residenza e non poter accedere a ...[continua]

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