Anna Soru, ricercatrice economica, è presidente di Acta, Associazione dei freelance.

Per la prima volta nel nostro paese si cerca di regolamentare, ma anche di tutelare, il lavoro autonomo con uno statuto. Puoi raccontare?
Noi lo consideriamo un passaggio molto importante. Prima ancora che per i singoli provvedimenti, per l’impostazione. Da quando esistiamo, cerchiamo di affermare l’idea che noi, pur essendo qualcosa di diverso dal lavoro dipendente, siamo comunque lavoro, non impresa. Tradizionalmente, si è sempre cercato di assimilare il lavoro autonomo o all’impresa o al lavoro dipendente, spesso imponendoci il peggio dell’una e dell’altro. Da un lato un sistema fiscale farraginoso e punitivo, con in più il divieto di parlare di tariffe; con l’idea che in quanto impresa se ti accordi con gli altri fai cartello e ledi le regole della concorrenza. Dall’altro, un continuo aumento delle nostre contribuzioni con l’idea che sei lavoro autonomo "finto” da riportare al lavoro dipendente, senza mai cercare di immaginare uno schema, anche di welfare, diverso.
Ecco, lo statuto ha questo vantaggio: finalmente riconosce nella sua impostazione che siamo lavoro e che non siamo impresa. Inoltre si rivolge a tutto il lavoro professionale, senza distinzione tra vere e finte partite Iva, tra mono e pluricommittenti, tra chi ha un ordine oppure no, ponendo fine a una spaccatura molto italiana, che non aveva senso, perché i problemi sono sostanzialmente gli stessi. Sta emergendo, in maniera sempre più evidente, che chi ha un ordine, un albo è tutt’altro che protetto.
Direi che questa è la parte più interessante dello statuto; nella sua versione originale tale impostazione era anche più accentuata perché prevedeva l’applicazione del rito del lavoro nel caso di controversia. Questo articolo è scomparso, non so se definitivamente.
Il rito del lavoro servirebbe non solo a ribadire che siamo lavoro, ma anche a garantire l’efficacia di alcune delle norme introdotte nello statuto, come quelle relative al rispetto dei tempi di pagamento e contro le clausole abusive. Se devo appellarmi a un tribunale normale per far valere il mio diritto a essere pagato in tempo so già che mi aspettano processi lunghi, quindi spesso non lo faccio perché il gioco non vale la candela.
Lo statuto affronta anche il problema della malattia del lavoratore autonomo, una vostra battaglia storica.
Nello statuto sono state accolte due delle richieste che abbiamo portato avanti con la battaglia condotta insieme alla nostra socia Daiela Fregosi: la possibilità, in presenza di una malattia grave, di sospendere i versamenti all’Inps fino a un massimo di due anni, per poi rateizzarli. Inoltre, in caso di malattie cancerogene la malattia domiciliare viene equiparata a quella ospedalizzata. Noi vorremmo che questa norma fosse estesa anche alle altre malattie gravi come la Sla, ecc., anche se sappiamo che esiste un’oggettiva difficoltà a individuare le malattie gravi in maniera chiara, senza che ci siano abusi.
Voi vi siete battuti anche perché fosse eliminato l’obbligo di astensione dal lavoro per poter accedere all’indennità di maternità.
Anche questa è una conquista importante: finalmente è venuto meno il vincolo dell’astensione dal lavoro per accedere all’indennità. L’indennità è un contributo legato al fatto che comunque la maternità ti comporta una riduzione del lavoro, ma in genere non una sospensione totale a cavallo della gravidanza. Mi è dispiaciuto che il sindacato abbia invece cercato di insistere sull’obbligo di astensione dal lavoro. Assentarsi per cinque mesi consecutivi per una lavoratrice autonoma può voler dire perdere i clienti.
Va anche detto che l’obbligo di astensione veniva in gran parte aggirato. Di solito la lavoratrice si limitava a posticipare la fatturazione, però non sempre era possibile. Una nostra socia che faceva formazione con i fondi sociali europei ha dovuto rinunciare all’indennità, perché risultava essere stata in aula durante il periodo di astensione obbligatoria. Ma perché? Non è giusto.
Io ho avuto due figli e non ho interrotto il lavoro per le gravidanze. La mia prima figlia è nata di domenica e ho lavorato fino al venerdì. È chiaro che non lavori come prima, però non è detto che tu debba per forza interrompere ogni attività. Riconosco il valore della norma per il lavoro dipendente, perché devi tutelare la lavoratrice dal fatto che le aziende ne approfittino, ma se sei tu a decidere per te ...[continua]

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