Francesca Panini, 29 anni, vive con il marito a Londra. Un mese fa ha avuto una bambina.

Sei nata in una cittadina dell’Emilia...
Sono nata a Correggio, in provincia di Reggio-Emilia, e sono rimasta lì fino all’università.
L’impatto con Bologna è stato molto violento. A Correggio ero autonoma, andavo a scuola in motorino, poi a mangiare da mia nonna, dopodiché andavo a casa e cominciavo a studiare.
Una delle cose che mi ricordo di Bologna è quanto mi avesse mandato in tilt non avere più il controllo del mio tempo, il trovarmi regolarmente almeno cinquanta persone davanti alla posta, il dover sempre aspettare l’autobus, e poi il traffico, per cui comunque per fare un chilometro mi ci volevano quindici minuti. Adesso quindici minuti mi sembrano niente!
Poi la vita universitaria è molto diversa dalle superiori perché uno si deve regolare da solo. Per alcuni studenti questo significa prendersela con calma perché non si hanno scadenze, per me invece era motivo di stress perché sono un tipo abbastanza rigoroso. Queste due cose insieme, cioè, il ritmo della città e quello che cercavo di impormi, non hanno convissuto molto bene tant’è che il primo anno ho lasciato Scienze Politiche, anche per l’ambiente universitario che mi aveva abbastanza deluso, era tutto test a crocette, e poi centinaia e centinaia di studenti, queste classi immense...
Ho lavorato per qualche mese al servizio per studenti disabili e poi, l’anno successivo, ho ricominciato con Antropologia e quella l’ho portata a termine, anche se con molta fatica. È difficile portare avanti i propri studi quando si ha l’impressione che siano inutili. Talvolta l’impressione era che fosse una facoltà che catalizzava gli studenti che non sapevano cosa fare. La materia in sé mi interessava, anche se l’ho rivalutata moltissimo quando sono venuta qua, dove l’antropologia ha un altro tipo di tradizione. Quanto meno, se dici che fai antropologia non ti chiedono cos’è.
Com’è nata l’idea di venire a Londra?
L’ultimo anno di università avevo la possibilità di seguire un corso sulla storia dell’Africa. Proprio durante la prima lezione, c’è stata la presentazione di un corso collaterale di lingua e letteratura dell’Etiopia. Mi sono detta: "Vabbé, provo ad andare a vedere’’, quasi come se fosse più un’attività collaterale che non effettivamente un corso universitario. Invece alla fine l’ho seguito tutto e l’ho pure ripetuto. Ho apprezzato moltissimo questo professore di Macerata che, poveretto, per tenere fede all’impegno preso, veniva tre volte alla settimana (viveva a Forlì) per noi che eravamo in cinque quando eravamo in tanti. È stato così che mi sono resa conto di questa passione per l’Africa.
Poi c’è stato questo viaggio di tre giorni a Londra. Io sapevo che qui c’era la School of Oriental and African Studies, la Soas, ma ero venuta con un paio di amici soprattutto per staccare e invece, senza volerlo, mi ci sono trovata di fronte... Puoi immaginare, per me era un luogo mitico, ero così emozionata. Sono entrata nella libreria per comprare dei libri (inutili visto che non parlavo una parola d’inglese).
Il libraio deve essere rimasto colpito vedendomi così emozionata e mi ha detto "Ma perché non vai a vedere la scuola?’’, così sono entrata e all’ufficio mi hanno dato tutte le informazioni. Lì ho scoperto che mi sarei potuta iscrivere a un master con la laurea triennale, non con la specialistica come credevo io...
È stato Pietro a convincermi a iscrivermi. Io non ho detto niente ai miei genitori. Se mi avessero preso sarebbero stati seimila euro, non volevo creare delle aspettative, nel bene e nel male. La selezione è curricolare, basata su titoli, che vanno tutti tradotti. In tutta questa smania io ci ho messo proprio tutto, anche il corso di trenta ore di spagnolo. Per essere ammessi, oltre alla preparazione, bisognava laurearsi in tempo e passare un test di inglese.
Ho fatto domanda a gennaio del 2008. Avevo in programma di laurearmi a novembre di quell’anno, ma in quel caso non sarei potuta entrare, quindi ho anticipato a luglio.
Io avevo un blocco enorme con questa lingua. Per fortuna ho trovato un insegnante scozzese che aveva vissuto per trent’anni a Bologna e dava lezioni a un prezzo ragionevole. Per cinque mesi, da gennaio fino all’estate, ho letto soltanto libri in inglese, guardato il più possibile film in inglese, senza capire... mi dicevo: "A un certo punto mi entrerà”. A luglio ho fatto il test e l’ho passato con un buon punteggio.
...[continua]

Esegui il login per visualizzare il testo completo.

Se sei un abbonato online, clicca qui accedere, oppure vai alla pagina Abbonamenti per acquistare l'abbonamento online.
Gli abbonati alla rivista hanno diritto all'abbonamento online gratuito!