Carlo Lacaita, professore ordinario della Facoltà di Scienze Politiche, Università degli Studi di Milano, ha pubblicato, tra l’altro, L’opera e l’eredità di Carlo Cattaneo, Feltrinelli, e il saggio "Salvemini e il federalismo”, in Gaetano Salvemini (1873-1957). Ancora un riferimento, Lacaita 2010.

Vorremmo parlare del federalismo di Salvemini. Quindi, dovremo partire dall’incontro con Cattaneo...
È un passaggio obbligato, in effetti, perché proprio Salvemini ha dato più volte chiare testimonianze a questo riguardo. Alla fine dell’Otto­cento, Gaetano Salvemini diventa professore di liceo e viene mandato a Lodi, vicino a Milano. Originario di Molfetta, questo giovane professore è in pieno fermento. Ha venticinque anni nel 1898 (essendo nato nel 1873), sta ribollendo di idee ed è impegnato nella ricerca storica, dopo aver compiuto la sua formazione a Firenze, presso l’Istituto di studi superiori, dove è stato vicino a docenti come Pasquale Villari e Cesare Paoli, che lo hanno avviato all’approfondimento della storia medioevale con ricerche che sfociano nella tesi di laurea, La dignità cavalleresca nel comune di Firenze (1896), e poco dopo nella famosa monografia Magnati e popolani in Firenze dal 1280 al 1295 (1899). A Firenze inoltre, assieme a un gruppo di coetanei con cui discute dei problemi italiani, il giovane pugliese aderisce anche al movimento socialista, che si sta organizzando nel primo grande partito nazionale, e si presenta come un fattore di rinnovamento della vita italiana.
Con queste esperienze e con queste idee Salvemini giunge quindi a Lodi, dove, frequentando la biblioteca civica, ben fornita di autori risorgimentali, ha modo di scoprire gli scritti di Cattaneo. "Fu una rivelazione” dirà in seguito, scrivendo a un amico.
All’epoca Cattaneo era letto e ammirato soltanto da una parte ridotta delle generazioni post-unitarie, perché era stato estromesso dal Pantheon dell’Italia ufficiale, a causa delle sue posizioni democratico-federaliste e delle critiche alla soluzione unitaria e centralistica. Non a caso si parlò di "congiura del silenzio” da parte degli esponenti della democrazia risorgimentale e post-risorgimentale, come Agostino Bertani e Gabriele Rosa, Alberto Mario e la moglie Jessie White, Felice Cavallotti e Arcangelo Ghisleri, del quale ultimo il giovane pugliese divenne presto interlocutore assiduo. Repubblicano e mazziniano, ma molto influenzato anche dalle idee di Cattaneo, Ghisleri rappresentava quel repubblicanesimo di fine Ottocento che voleva conciliare l’insegnamento di Mazzini con quello di Cattaneo, e attraverso un’intensa attività pubblicistica si batteva per l’affermazione della democrazia in Italia contro i tentativi autoritari dei governi di fine Ottocento.
L’incontro di Salvemini con Cattaneo, attraverso le prime raccolte di suoi scritti, con Ghisleri e con gli altri democratici e socialisti settentrionali, avviene mentre è in atto la prima grande crisi dello Stato liberale italiano, al fondo della quale sta il tentativo di ampi settori del ceto dirigente di gestire il processo di modernizzazione, avviato con l’Unità, in termini oligarchico-autoritari, secondo un modello napoleonico-bismarkiano, impegnato a frenare, se non impedire, l’ingresso delle masse popolari nella vita delle istituzioni e il pieno riconoscimento dei loro diritti di cittadinanza.
Negli scritti sull’insurrezione di Milano e sul fallimento del ’48-’49 (ma lo studio si estese ben presto all’intera produzione del pensatore milanese, comprese le carte inedite, fra cui le lettere, che costituivano l’Epistolario), il giovane storico pugliese trovò non solo una acuta analisi delle diverse componenti del moto risorgimentale, delle loro diverse linee d’azione e dei diversi obiettivi perseguiti, ma anche i principi ispiratori, che stavano alla base del pensiero cattaneano e della sua proposta federalista. Principi che lo conquistarono pienamente e divennero i parametri regolativi nella valutazione dei limiti della soluzione moderata del Risorgimento e delle difficoltà del successivo processo di democratizzazione. Tanta è l’immedesimazione che, scrivendo a un amico in quel periodo, afferma di sentire nella sua testa "il cervello di Cattaneo”.
Nelle due stesure del saggio sull’Insurrezione di Milano del 1848, e nelle Considerazioni premesse ai tre volumi dell’Archivio triennale delle cose d’Italia, Salvemini trova ciò che in quel momento gli serve di più, cioè la possibilità di dare ...[continua]

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