Aris Accornero insegna Sociologia industriale presso l’Università di Roma "La sapienza”; insieme a Tiziano Treu e Cesare Damiano ha fondato Eli, EuropaLavoroImpresa. Ha pubblicato, tra l’altro, Era il secolo del lavoro, Il Mulino 1997; insieme a A. Orioli, L’ultimo tabù. Lavorare con meno vincoli e più respon­sabilità, Laterza 1999; San Precario lavora per noi, Rizzoli, 2006.

Mi sembra di capire che secondo lei il risultato di gran lunga più grave di tutta la vicenda Pomigliano-Mirafiori sia l’esclusione dalla fabbrica del sindacato più rappresentativo. E' così?
Sì è così, però prima vorrei fare una premessa su un fatto cui nessuno ha fatto più cenno ma che a me sembra utile ricordare. Esattamente tre anni fa, a gennaio del 2008, la Fiat a Pomigliano aveva fatto un grossissimo sforzo, anche economico (soprattutto legato al fatto che gli operai non lavoravano perché partecipavano a dei corsi di formazione) per introdurre il famoso World Class Manifacturing. L’azienda aveva molto reclamizzato l’operazione, se n’era parlato anche nel Sole 24 ore. Quando mi era stato chiesto un giudizio, avevo detto: "Beh, alla Toyota è un po’ diverso…”. Perché quello a cui loro puntavano era una riconquista di quegli operai a moduli di comportamento e lavorativi rivisitati, non tanto in senso professionale, ma quasi in senso morale.
Ora, quell’operazione, che consisteva in un ciclo di lezioni da cui passarono tutti, con il coinvolgimento di 266 capi, addirittura con la realizzazione di opere per l’adeguato svolgimento delle lezioni e l’introduzione di qualche piccola novità concomitante a questo grosso sforzo organizzativo-rieducativo, fu un buco terribile, cioè non ne venne fuori nulla.
Io penso che Marchionne avesse avuto qualche notizia su com’era Pomigliano, nel senso della sua anomalia industriale, però con questo suo approccio, chiamiamolo protestante, evidentemente si era convinto in qualche modo che, spiegando le cose, la gente avrebbe capito, che ci sarebbe stato un risultato.
Il fatto che non ci sia stato alcun risultato, secondo me è stato un notevole shock per Marchionne, che probabilmente già si arrovellava per capire come mai questo mondo fosse tanto diverso da quello che lui avrebbe voluto.
In realtà lui già sapeva che all’estero soluzioni tanto radicali non erano così facili da far passare: il 20% della Chrysler si era opposto al progetto di ristrutturazione nei primi mesi del 2009. Tre mesi dopo, il 25% del personale GM si era opposto alle novità da lui proposte, che però poi erano passate a maggioranza.
Insomma Marchionne si era formato quest’idea che fosse possibile curare questi casi di disordine, scarsa produttività e governabilità aziendale. Quindi io partirei dal fatto che dietro la vicenda Pomigliano-Mirafiori c’è una delusione, forse anche umana, da parte di Marchionne per il fallimento dell’opera di rieducazione avviata in quell’azienda un po’ disgraziata.
Intendiamoci, questa non è la spiegazione della svolta e tanto meno prelude a quel che poi è avvenuto. Però mi sembra importante ricordare che, con questa "cura”, era stato accordato un certo margine di affidabilità anche alle maestranze e alla situazione di Pomigliano d’Arco.
Ma come si arriva all’espulsione della Fiom?
Infatti, questa del ruolo della rappresentanza è diventata oggi la questione fondamentale, perché qui è andata a finire, in modo buffo e forse persino un po’ kafkiano, che lo Statuto dei lavoratori, rimaneggiato dopo il referendum dei radicali del ‘95, ha portato all’esclusione del sindacato più rappresentativo.
L’articolo 19 dello statuto, infatti, che era nato ex novo con la necessità di identificare i titolati a rappresentare, giustamente si poneva la domana: chi è titolato a rappresentare? E la risposta era e rimane: chi ha fatto degli accordi con l’azienda, con la controparte. Che significa che chi non fa l’accordo è tagliato fuori.
Ora, questo principio di esclusione, non voluto dall’azienda, ma indotto dall’andamento della vicenda, soprattutto dal fatto che c’è una divisione sindacale forte, come ha ricordato Gian Primo Cella sul Mulino, scassa tutto il sistema di rappresentanza e in qualche maniera sancisce la fine del sistema di rappresentanza sindacale vigente fino ad oggi in Italia.
In Europa praticamente non è possibile escludere dalle trattative un sindacato che sia esistente su basi nazionali. In Italia si è arrivati a quella legge sul pubblico impiego che esclude dalla trattativa chi no ...[continua]

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