Guido Viale, economista, recentemente ha pubblicato: La civiltà del riuso: riparare, riutilizzare, ridurre, Laterza, 2009

Dopo esserti occupato dei rifiuti e dei problemi relativi al loro smaltimento, nel tuo ultimo libro affronti, da vari punti di vista, un tema in qualche modo contiguo, il riuso.
Essendo un libro sul riuso in generale, ho cercato di affrontarlo con uno sguardo allargato, sintetizzando poi quattro argomenti. Il primo è storico e antropologico e riguarda il fatto che il ricorso al nuovo potrebbe essere solo una parentesi nella storia dell’umanità, perché fino alla rivoluzione industriale la maggior parte delle cose che circolavano erano fatte per durare e venivano usate per generazioni dalla stessa famiglia, e anche quando passavano di mano, venivano riutilizzate o riadattate. Per esempio, per tutta la storia dell’umanità i poveri si sono vestiti con gli abiti dismessi dai ricchi. Nel mondo contemporaneo, se noi pensiamo alla nostra vita, alla nostra casa, lì per lì siamo indotti a credere che sia tutto nuovo, nel senso che l’abbiamo comprato noi. In realtà anche noi facciamo un ampio ricorso al riuso. Magari nella nostra casa c’è solo un pezzo di antiquariato che spicca, ma in realtà quello che ci circonda non sempre è davvero nuovo. La stessa casa spesso prima è stata usata da qualche altra famiglia. Non parliamo di ciò che la circonda: ad esempio le strade e poi l’assetto urbano, che quanto più è usato e riusato tanto più è di pregio. Se poi entriamo nello specifico, qualcuno potrebbe rimanere sorpreso: quando andiamo al ristorante ci mettiamo in bocca forchette che sono già state in bocca di molte persone, ma se andiamo in un mercatino e troviamo delle posate usate, prima di comperarle pensiamo "Chissà chi le avrà usate!”, andiamo all’albergo e ci infiliamo fra lenzuola in cui ha dormito moltissima altra gente, o ci asciughiamo con asciugamani con cui molti altri si sono asciugati, e via di questo passo... In realtà questa percezione che la nostra vita è necessariamente e inevitabilmente fatta di molto riuso, dovrebbe essere più consapevole, così da riavvicinarci a un uso più sereno di cose dismesse. Il principale ostacolo per una maggiore diffusione del riuso è proprio questo stigma, o questo senso di emarginazione, che accompagna il ricorso al riuso. Questo è un problema che si trovano di fronte anche quelli che lavorano in questo settore, in particolare quando sono cooperative sociali, Onlus, associazioni, spesso mossi da intenti ambientali o sociali.
Ma chi sono i "clienti”?
Sul versante dei clienti di cose riusate, si può dire che sostanzialmente siamo di fronte a due tipi molto diversi: da una parte ci sono gli snob, quelli che fanno ricorso al riuso per dare un tono o una caratteristica al loro stile di vita -questo vale tanto per gli abiti come ovviamente per i mobili e per le abitazioni: una casa di campagna in pietra è una cosa diversa da un villino di cemento armato costruito ex novo- e per farlo bisogna avere un capitale culturale piuttosto sostenuto, cioè avere la capacità di presentarlo come un dato distintivo e qualificante della propria personalità; dall’altra parte troviamo quelli che fanno ricorso alle cose usate perché non possono permettersi le cose nuove, a partire dall’automobile, che è uno dei beni per i quali il riuso è più diffuso.
Il ricorso all’automobile usata qualifica immediatamente una persona come qualcuno che non ha la condizione economica per potersene permettere una nuova. E a maggior ragione questo vale per gli abiti -meno, adesso, perché molti vestiti nuovi cinesi costano meno dell’usato- poi sicuramente per i mobili e per molti altri beni, compresi quelli che vengono ormai buttati via, perché per questa reticenza a ricorrere all’usato, molti preferiscono fare sacrifici e comprare cose nuove, piuttosto che presentarsi come chi fa uso di cose usate o aggiustate.
Allora, la prima cosa è lavorare per la diffusione di un capitale culturale adeguato ad affrontare con disinvoltura, con aisance direbbe Bourdieu, il ricorso all’usato, come fanno le persone che lo sanno fare, perché nessuno si senta più in imbarazzo se i suoi gusti o i suoi orientamenti o la sua condizione personale gli suggeriscono di fargli comprare dei beni usati. Questo primo punto secondo me è molto importante.
Ma questo comporta una sorta di rivoluzione culturale...
Una rivoluzione culturale un po’ è già in corso, perché di fronte a una parte della gioventù che c ...[continua]

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