Guido Viale da tempo si occupa di rifiuti e mobilità. Recentemente ha pubblicato Azzerare i rifiuti. Vecchie e nuove soluzioni per una produzione e un consumo sostenibili, Bollati Boringhieri 2008. Il libro di cui si parla nell’intervista è Prove di un mondo diverso. Itinerari di lavoro dentro la crisi, Nda Editore 2009.

Da più parti si sente dire che dalla crisi attuale non si uscirà uguali a prima perché è una crisi che coinvolge il "modello” economico. Nel tuo libro affronti anche tu questo tema da un punto di vista simile, ma assegni un ruolo di primo piano a quanto accaduto nel 68 in tutto il mondo, quasi uno spartiacque.
Sì, c’è un’analisi della fase storica che attraversiamo, in particolare del modo in cui è esplosa la crisi che stiamo vivendo, che la vede come punto finale del crollo di 30 anni di dominio di quello che correntemente si chiama il pensiero unico, che poi in realtà è il liberismo sfrenato, e la consegna a meccanismi di mercato, veri o presunti, di ciò che una volta costituiva la politica e il governo della società. Questo trentennio è venuto dopo un altro trentennio, quello che è andato dalla fine della seconda guerra mondiale a metà degli anni ’70, e che ormai nella pubblicistica ufficiale viene chiamato dei "trenta gloriosi”. In realtà di gloria ce n’era veramente poca, però sicuramente c’erano delle aspettative e delle attese molto più sostenute di quelle di adesso: c’erano la decolonizzazione, l’espansione, il miracolo economico, l’accesso al benessere, l’avvento della scuola di massa, cioè la speranza di un’emancipazione e di un miglioramento attraverso l’istruzione passando da una generazione all’altra; con tutto il bene e il male che queste cose hanno comportato. Il 68 ha messo in crisi questi meccanismi, perché i protagonisti del 68 dicevano sostanzialmente: "Non ci basta, vogliamo di più, cioè vogliamo libertà, vogliamo realizzazione personale, vogliamo autonomia”. I 30 anni che sono seguiti, che definisco i "trenta vergognosi”, in cui prima gradualmente, poi in maniera sempre più forte ed esclusiva, si è affermato il pensiero unico, li interpreto come una reazione alle istanze di libertà e liberazione che erano il segno distintivo del 68.
Per 68 cosa intendi? Perché in Italia è stato un anno lungo un decennio... E in tutto il mondo è stato diverso da paese a paese...
Da questo punto di vista, parlando di 68 intendo riferirmi a quell’insieme di movimenti sociali che vanno dall’inizio della rivoluzione culturale (nata all’insegna del motto "fuoco sul quartier generale” come rivolta antiautoritaria contro un modello di sviluppo consolidatosi in Unione Sovietica e ripreso pari pari in Cina) al maggio francese, alla "lunga marcia attraverso le istituzioni” di Rudi Dutschke, all’autunno caldo italiano, al movimento di Danzica e Stettino in Polonia, alla primavera di Praga, all’esperienza dei Provos in Olanda, alla rivolta della Columbia University, a quella degli studenti a Città del Messico, ai Montoneros in Argentina, al governo Allende in Cile, agli Zengakuren giapponesi; insomma a un fenomeno che è stato grosso modo il primo grande movimento a carattere globale che si è presentato nel mondo moderno. Quali sono state le caratteristiche di questa reazione al 68? Da un lato il fatto di avere in qualche modo raccolto e dato spazio a quello che era il programma del 68, cioè la realizzazione personale.
Però, invece che attraverso l’azione collettiva, lo ha proposto attraverso il suo contrario, cioè la competizione individuale, in cui ci sono i perdenti e i vincenti. I vincenti si realizzano, i perdenti non sono meritevoli di realizzarsi, e vengono penalizzati o addirittura criminalizzati. Quello che è andato perso in questa reinterpretazione dell’autonomia e della realizzazione personale, è la parte più corposa e più ricca del 68, che era la comunità, il vivere insieme, le relazioni di amicizia e di affetto che si creavano nell’ambito del movimento, e che costituivano la parte più sostanziosa della realizzazione personale, cioè il vivere, anziché isolatamente, in un clima di solidarietà e di scambio effettivo. Per non idealizzare troppo, lo dico per quelli che non c’erano, non erano solo rose e fiori; basti pensare ai rapporti uomo-donna. Però, sul movimento di liberazione della donna posso dire che non avrebbe assunto i caratteri e la forza che ha avuto negli anni ’70, se non ci fosse stato prima il 68. Cioè il movimento delle donne è stato reso possibile, sebbene ...[continua]

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