Guido Armellini, insegnante, vive a Bologna.

Dicevi che finalmente hai trovato un’appartenenza…
Si, in età adulta mi è avvenuto il fatto inatteso di trovare finalmente un’appartenenza. Io che non mi ero mai sentito veramente appartenente a nessuna associazione, istituzione o gruppo, da più di dieci anni ormai posso dire “la mia chiesa”. Mia madre era ebrea, mio padre cattolico, la nonna anglicana, il nonno ebreo, tutti non praticanti, e io sono diventato cattolico a sette anni per circostanze casuali, poi il cristianesimo è diventato qualcosa di vissuto che alla fine mi ha fatto approdare alla chiesa metodista...
Puoi spiegare un po’ chi sono i metodisti…
Il metodismo è di origine inglese, nasce nel 700 in Inghilterra, arriva in Italia nell’800. Fu importato da missionari inglesi, ma anche da italiani “eretici” che credevano in una chiesa libera legata all’idea risorgimentale. In Italia i metodisti sono legati da un patto di integrazione con la chiesa valdese, che invece è radicata nel nostro paese fin dal Medioevo.
Il protestantesimo storico in Italia è formato fondamentalmente da valdesi, metodisti, battisti. Ci sono poi una serie di chiese libere, spesso di stampo fondamentalista o carismatico, che fanno parte di un panorama diverso.
Io sono diventato metodista perché cercavo un’esperienza di fede più libera e responsabile rispetto a quella che potevo vivere nel cattolicesimo: una chiesa organizzata democraticamente, senza mediazioni clericali, in cui vigesse davvero quel primato della coscienza che in teoria la stessa chiesa cattolica proclama… E poi la nostra chiesa è un luogo dove arriva la gente più varia, il che la rende interessante. Sono contento di appartenere a una chiesa che ha un’identità meticcia, e questo ancor prima che arrivassero gli stranieri. Ci approdano persone con percorsi molto vari.
Forse per questo mi sento di poterle appartenere: perché non impone un’identità rigida, ma si sforza di accogliere le diversità (naturalmente, come ogni gruppo umano, a volte ci riesce di più, a volte ci riesce di meno, e a volte non ci riesce per niente).
Cosa è cambiato o sta cambiando con l’immigrazione?
Il protestantesimo storico sta vivendo una stagione singolare. L’arrivo degli immigrati lo rende un laboratorio unico dal punto di vista sociale e antropologico. Si è sempre trattato di chiese di infima minoranza, con un numero di membri molto ridotto. Qui a Bologna la situazione è particolare, perché già prima dei grandi flussi migratori arrivava gente da chiese libere, dal cattolicesimo, da percorsi non religiosi, per cui una certa vitalità c’era, ma molte delle chiese italiane erano ormai composte prevalentemente da anziani.
Ebbene, con l’immigrazione è arrivato un numero elevato di immigrati protestanti da tutti gli angoli del mondo. Se non mi sbaglio, attualmente in Italia i protestanti autoctoni sono un quarto di quelli che vengono da fuori, dunque nelle nostre comunità può avvenire che gli italiani siano in netta minoranza rispetto agli stranieri immigrati. Si crea così un tipo di incontro che, per quel che ne so, non è paragonabile con altre situazioni. Un incontro che da un lato ha una fortissima risonanza biblica (“Amerai lo straniero come te stesso perché anche tu fosti straniero in terra d’Egitto” è una delle più antiche prescrizioni pienamente antirazziste della storia dell’umanità), dall’altro mette in moto dei tentativi di integrazione che, per la loro singolarità, sono oggetto di studio in Europa.
Ma qual è la tendenza, a unirsi e mischiarsi?
La tendenza principale, in tutto il mondo occidentale, è quella delle chiese etniche. Perlomeno nelle grandi città europee va così.
La chiesa luterana tedesca può ospitare nei suoi locali, o può stabilire dei rapporti con chiese asiatiche, africane, ecc., ma ogni gruppo etnico forma la sua chiesa. Quello delle chiese etniche è un fenomeno di grande rilievo, che, quando non è ancorato alle grandi correnti del protestantesimo storico, può anche comportare rischi e abusi: per esempio pastori improvvisati che campano con le offerte, girano con i macchinoni, sfruttando anche il fatto che questa gente, arrivando in un mondo estraneo, ha bisogno di recuperare un certo modo di stare insieme perché questo risponde a un bisogno di identità, di sicurezza. Bisogna tener presente che quasi sempre le comunità immigrate non sono secolarizzate come le nostre. Per molti stranieri l’essere cristiani è un elemento costitutivo di un’ ...[continua]

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