Qualche anno fa il vecchio barbiere di Chieri che mi taglia i capelli da un quarto di secolo, lasciato solo, per sopraggiunta grave miopia, da un collega coetaneo, assunse una ragazza rumena. La ragazza inizialmente lavava i capelli, spazzava per terra, teneva in ordine. Che fosse rumena lo si capì subito, dalle conversazioni con amici e clienti, dai problemi burocratici che doveva affrontare e di cui raccontava. Il nome, che ho cambiato in Emilia, si seppe poco dopo. L’età (è dell’86) le fu chiesta da un vecchio cliente, evidentemente colpito dall’avvenenza della barbiera.
Qualche anno fa, mentre aspettavo il mio turno, raccontai che a pochi passi dal negozio, in una sala del Comune, fino alla domenica successiva, c’era un seminario sull’emigrazione rumena da M., paese ai confini con l’Ucraina. Forse valeva la pena di partecipare. Emilia rispose che la domenica successiva andava al mare; e che poi a M. non sono neppure rumeni: parlano ucraino. Lei lo sapeva bene perché S., la sua città, è a poche decine di chilometri di distanza. Lo riferii subito all’antropologo che aveva organizzato il seminario. Lui replicò che non era vero; che forse il 20% degli abitanti di M. parla ucraino; non di più. Quale che fosse la percentuale, interpretai l’osservazione come una presa di distanza: la dissociazione di una vera rumena di S. dai falsi rumeni di M. Avevo torto. Vario tempo dopo, forse due anni dopo, conversando con vari vecchietti, uno dei quali, vecchio barbiere concorrente, cercava di assumerla lui, Emilia raccontò che suo padre, morto da tempo, era transilvano. Ci fu un coro di vecchietti: "Ah, per questo fai scappare gli uomini!”, "Per favore non mordermi sul collo”, ecc...
Lei non degnò di mezza parola le allusioni allo scarso interesse maschile, evidentemente fuori bersaglio, e precisò, molto seriamente: "Mio padre, sì, era transilvano; ma noi siamo russi!”. Accidenti! Allora l’osservazione sulla lingua non era una dissociazione ma la sottolineatura di un’origine comune. Raccontai la notizia all’antropologo che restò di sale, data la nota enfasi sulla romanità di molti rumeni.
In questi anni Emilia ha fatto un corso per imparare e ha cominciato a tagliare i capelli anche lei; dapprima per lo più ai giovani, quasi tutti rumeni, con cui chiacchierava moltissimo, in rumeno; poi anche ai vecchi e ai bambini, inclusi i casi difficili: vecchietti fuori di testa accompagnati da mogli autoritarie che parlano al posto loro e bambini capricciosi accompagnati dalle madri. Negli ultimi due anni ha tenuto aperto il negozio a Ferragosto mentre il titolare era via. Per un po’ è stata un punto di forza del negozio soprattutto per i molti giovani rumeni che lo frequentavano; ora lavora praticamente alla pari.
Non è un caso isolato. Gli artigiani rumeni e moldavi sono numerosi a Chieri e si sono inseriti bene. C’è una panetteria rumena nuova che ha sottratto molti clienti a una vecchia panetteria piemontese, che continuo a frequentare anche per sentire i passaggi dal dialetto alla lingua della titolare. Lei però ha problemi gravi di vista e non sembra essere in grado di andare avanti a lungo. Sono rumeni l’elettricista (o almeno il commesso) e la sala giochi che hanno aperto lì accanto. Sono rumene praticamente tutte le infermiere che hanno vinto l’ultimo concorso all’ospedale locale, dopo l’ingresso della Romania nell’Unione. Sono rumene molte delle madri che spingono carrozzine quando fanno la spesa al mercato. Sono rumene molte delle amiche di Emilia, che fanno due chiacchiere fermandosi davanti al negozio. Lei non conosce le associazioni degli immigrati rumeni, per esempio l’associazione "Ovidiu”, attiva anche a Chieri, ma ha molte amiche e amici.
Nello scorso luglio c’è stato un evento nuovo: Emilia ha sposato Emilio (i due nomi sono fittizi, ma anche quelli veri sono l’uno il femminile dell’altro), rumeno anche lui, ma anche lui russo, con cui conviveva da un po’. Ha raccontato il suo matrimonio a un cliente italiano, giovane, con cui è in confidenza, con molto entusiasmo e molti particolari, mentre mi tagliava i capelli, all’inizio di agosto. Dopo il matrimonio religioso (nella chiesa di San L. in Chieri, che gli ortodossi uniati possono usare per un accordo col Vescovado), la sera, c’è stata la festa, in un agriturismo fuori paese. Non una festa qualsiasi, ma un preciso rituale. Lo sposo apre le danze con la sposa con un valzer. Poi la sposa viene ritualmente rapita e riscattata con un buon numero di bottiglie, che i rapitori ottengono in cambio di una scarpina che hanno tolto alla sposa. Al valzer seguono balli sempre più rapidi -e russi. Ci sono scambi di battute, rivalità e abbracci. La sposa ha innovato: ha gonfiato contro il soffitto della sala un pallone e-nor-me (lo sottolinea lei, compitando le sillabe) sopra cui ha collocato palloncini colorati e coriandoli. Mentre balla il valzer col marito, con uno spillo, buca il pallone grande, che fa cadere sugli ospiti i coriandoli e i palloncini. Poi tutti baciano la sposa, si beve, si balla. Comincia a piovere. Molti escono sotto la pioggia. La sposa finisce coi piedi nel fango e perde anche l’altra scarpina. Si balla sotto la pioggia a piedi nudi.
Chi abbia visto "Il cacciatore” di Michael Cimino non può non riconoscere la festa nuziale. Per fortuna nessuno deve partire per il Vietnam dopo le nozze. E non si sa se qualcuno si sia messo a correre nudo verso le fabbriche (che a Chieri ci sono, anche se in crisi) come De Niro fa nel film.
Non hanno cantato America, America!
Conclusione. Non è detto che i migranti siano emarginati e separati. Possono avere successo nel lavoro e negli affari. Non è detto che arrivino con il marchio d’origine stampigliato sulla fronte: i rumeni con in testa la Colonna traiana; le marocchine con velo. Non è detto che frequentino le associazioni etniche. Ma non sono polvere -un granello uguale all’altro granello. Quella festa di nozze è stata possibile perché il passaparola -la catena migratoria, come si dice- ha portato a Chieri una rete di persone con gli stessi costumi. Non ripetono un modello culturale immutabile: nelle campagne di un secolo fa non avranno avuto palloni e palloncini di plastica. Ma il rapimento della sposa, il riscatto, la musica, i balli, non li hanno inventati loro, a Chieri.
Se qualcuno pensa che il negozio del barbiere di Chieri rassomiglia a "Susanna e i vecchioni”, ha ragione. è uno degli aspetti dell’Italia.