Da queste parti, la stagione politica primaverile è stata tanto esilarante quanto profondamente frustrante. Da tutti i punti di vista, dovrebbe trattarsi di un anno trionfale per il Partito Democratico, soprattutto alla luce di un recente sondaggio da cui emerge come un inaudito 81% degli americani ritenga che il proprio Paese stia andando nella direzione sbagliata. La Guerra in Iraq, col suo costo osceno, impazza inesorabilmente, senza che se ne possa intravedere una fine. Nel frattempo (e non è una coincidenza) il sistema finanziario nazionale si regge in piedi a malapena sotto i continui colpi infertigli dagli scandali, dalle bancarotte, dalle ipoteche, dall’esplosione dell’inflazione nei comparti energetico e alimentare, e da una generale insicurezza occupazionale.
Il fallimento della classe dirigente a Washington, ed in particolare di questa Casa Bianca, sempre più disimpegnata e traballante, è più evidente ogni giorno che passa, mentre i giornali continuano a ripetere lo stesso, stanco ritornello a cappello di ogni brutta notizia economica: “… sin dai tempi della Grande Depressione degli anni ’30..:”.
Dopo una breve serie di primarie, i Repubblicani si sono espressi in favore di un candidato particolarmente inadatto a tutte queste sfide. John McCain è un uomo che appare stanco e che, nonostante il comportamento anticonformista, promette di continuare le disastrose politiche interne ed estere di Bush. In breve, tutto è pronto per un trionfo Democratico, il prossimo Novembre, ed il fatto che il candidato possa essere una donna o un nero può solo contribuire al peso storico del momento.
Eppure, questa prolungata lotta che si è venuta a creare tra Hillary Clinton e Barack Obama ha finito per mettere in dubbio il risultato elettorale, dando sollievo alle forze della conservazione. Con uno squilibrio nel numero dei Grandi Elettori quasi impossibile da ribaltare, la signora Clinton e suo marito hanno inferto un grave danno alle loro reputazioni ed alla statura politica del loro avversario facendo ricorso ad una campagna fatta di insinuazioni ed attacchi personali che stupisce per spietatezza, ipocrisia e volontà di dividere.
Parzialmente in conseguenza di ciò, il Senatore Obama ha smarrito parte delle energie e della freschezza che aveva portato nell’agone politico con le sue prime vittorie. Ora è costretto a ridefinire le sue priorità rispetto alle gravi sfide di un Paese in crisi. Deve farlo giocoforza, per rispettare la parola data a tutte quelle folle da record che sono andate a votarlo sotto le nevicate dell’Iowa ed in altre parti d’America nei primi mesi dell’anno, gente che non aspettava altro che una guida illuminata, compassionevole, coraggiosa.
Quaranta primavere fa, in condizioni similarmente turbolente, cominciò una stagione elettorale in cui, parimenti, dominava un sentimento idealista e di rinnovamento, in particolare tra i giovani. Nel tentare di descrivere il fenomeno Obama, molti reporter anziani hanno ricordato l’ondata di “nuova politica” del 1968.
Allora una coalizione multietnica di americani contraria alla Guerra in Vietnam, che reclamava maggiore attenzione alle questioni dell’ineguaglianza e della conflittualità sociale, si radunava intorno alla candidatura del Senatore Robert F. Kennedy. “Bobby”, che sgomitava per uscire dall’ombra del fratello assassinato, aveva fatto il suo ingresso nella lotta per la nomination dopo aver assistito al successo della sfida antibellica lanciata dal Senatore Eugene McCarthy a Lyndon Johnson. Alla fine di marzo, il Presidente Johnson fu costretto a ritirarsi dalla candidatura per la rielezione, ad ordinare la cessazione dei bombardamenti, ed a cominciare le negoziazioni con il governo del Vietnam del Nord -tutto ciò in conseguenza delle pressioni dell’opinione pubblica, che chiedeva a gran voce una via d’uscita dal pantano. Per alcuni giorni, l’umore dell’ “insurrezione” progressista fu alle stelle. Ma poi, la sera del 4 aprile, il dottor Martin Luther King fu ucciso da un proiettile a Memphis, nel Tennessee. Fu un crimine che traumatizzò l’intera nazione, ed in particolar modo i cittadini di colore.
Fu forse quella la notte in cui “Bobby”, che era impegnato nella campagna elettorale nell’entroterra americano, trovò la sua voce, e finalmente emerse la sua vera personalità. Venuto a conoscenza della morte di King, insistette a prendere parte ad un comizio all’aperto nel quartiere nero di Indianapolis, vincendo le forti resistenze del suo staff. Temendo una rivolta, la polizia locale non fornì il servizio d’ordine, ma Kennedy non si tirò indietro, scegliendo di essere lui a comunicare la notizia alla gente, e pronunciando un accorato discorso a braccio. Fu una dimostrazione di coraggio e responsabilità, di misura e sensibilità (da parte di un uomo più noto per la sua durezza) che merita di essere commemorata. Ecco cosa disse:
A quelli di voi che sono tentati di lasciarsi andare all’odio e alla sfiducia verso i bianchi per l’ingiustizia di quello che è accaduto, posso soltanto dire che provo i vostri stessi sentimenti in fondo al mio cuore. Ho avuto anch’io qualcuno della mia famiglia ucciso, anche se da un uomo bianco come lui. Ma dobbiamo fare uno sforzo negli Stati Uniti, dobbiamo fare uno sforzo per comprendere, per superare questi momenti difficili.
Il mio poeta preferito è Eschilo. Egli scrisse: “Anche mentre dormiamo, il dolore che non riesce a dimenticare cade goccia a goccia sul nostro cuore fino a quando, pur nella nostra disperazione e persino contro la nostra volontà la saggezza prevale attraverso la grazia di Dio”.
Non abbiamo certo bisogno di divisioni negli Stati Uniti, non abbiamo bisogno di odio, né di violenza o anarchia. Abbiamo invece bisogno di amore e saggezza, compassione gli uni verso gli altri, e di un sentimento di giustizia verso tutti coloro che nel nostro paese ancora soffrono, siano essi bianchi o neri.
Questa sera vi chiedo quindi di tornare alle vostre case e di dire una preghiera per la famiglia di Martin Luther King. Ma, cosa ancora più importante, vi chiedo di dire una preghiera per il nostro paese che tutti amiamo, una preghiera perché possiamo provare quell’amore e quella compassione di cui parlavo poco fa (…).
Dedichiamoci a perseguire quello che i greci scrissero tanti anni fa: domare la natura selvaggia dell’uomo e rendere gentile la vita in questo nostro mondo.
Dedichiamoci a questo, e diciamo tutti una preghiera per il nostro paese e per la nostra gente.
Viene da chiedersi quale dei politici odierni potrebbe essere all’altezza della situazione in circostanze tanto estreme. Bobby si fidava di quella gente, la rispettava, si rivolgeva a loro come a degli adulti e, dopo averlo ascoltato attentamente, la folla si disperse senza problemi. Probabilmente, il fatto che proprio Indianapolis venne risparmiata dai saccheggi, dai roghi e dalle altre manifestazioni di furia cieca cui molti americani di colore si diedero quella notte in dozzine di altre città, tra cui la capitale federale, non fu dovuto ad una coincidenza.
Sappiamo tutti quale fu il tragico atto successivo, in quell’anno insanguinato. Trascorsi appena due mesi, dopo aver conquistato diverse primarie ed aver calamitato il sostegno entusiastico di elettori di ogni provenienza etnica, fu Robert Kennedy stesso a ricevere un’elegia, dopo il suo omicidio in California. Aveva solo quarantadue anni. Nel 2002, alla Stazione Termini di Roma, ho assistito ad una commovente testimonianza della forza del messaggio di Bobby in una mostra fotografica dedicata all’infinita processione di persone, la maggior parte di umili origini, che si estendeva lungo tutto il percorso del treno funebre che da New York andava a Washington, in un afoso giugno di quattro decadi or sono.
Per provare a smuoverci dal nostro abituale cinismo, traiamo ispirazione da quella notte ad Indianapolis, vero esempio della possibilità e della potenza di una guida davvero morale. Insistiamo affinché i politici che aspirano alla guida del paese comportandosi come sempre, alzino il livello del discorso, facendo appello al meglio di noi, piuttosto che al peggio. Il Senatore Obama può ancora catalizzare il tipo di cambiamento nei toni e nelle priorità cui la maggior parte degli americani aspira da tempo -se rimarrà concentrato sui veri problemi, e si solleverà oltre le tattiche da terra bruciata dei suoi avversari.
Detroit, aprile 2008
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