L’umanitarismo è diventato il linguaggio predominante dei giornali e delle tv in Italia.
L’ideologia umanitaria ch’era sbocciata come una fresca fiammella dalle ceneri politiche del terrorismo ha divampato in lungo e in largo nel territorio della comunicazione di massa inseguendo i casi umani, gli abusi, i martirii, le inermità su scala più che enorme.
L’incendio è stato poi sacralizzato dalla fine delle altre ideologie. Per fortuna reggevano i pilastri dell’umanitarismo.
Non è il caso di inerpicarsi su montagne svettanti. Lasciamo ai filosofi o ad altre occasioni pratiche l’ufficio di denudare il presuntuoso pregiudizio antropocentrico su cui l’ideologia umanitaria si erge. Ci limitiamo ad alcune considerazioni pratiche: l’umanitarismo che è sinonimo di bontà è sempre buono? e, soprattutto, è utile, e quando, all’uomo?
L’ideologia umanitaria spesso è a uso e consumo di chi la propugna. Partiamo da questo dato semplice che ciascuno può facilmente verificare.
I media, per esempio, hanno bisogno di un po’ di aureola intorno alla propria immagine. Altrimenti c’è il rischio che i loro consumatori possano abituarsi al silenzio. E poi ci sono tante meschinità da far dimenticare: la caccia al ricercato, l’incitazione alla muta di caccia che cerca la gola del capro espiatorio, lo sciacallaggio tra le macerie e i materiali scaduti, il conto in tasca alle vittime, il cannibalismo spacciato come autopsia. Fermiamoci qui: altrimenti siamo alle grida, e tra gli untori, noi stessi.
All’origine c’è un terribile senso di colpa, sebbene coperto da strati e strati di omertà e di ritualità sociale. Tra le conseguenze il bisogno di scrollarselo di dosso. Allora il male deve essere onnipresente e onnipotente, e bisogna metterlo al bando a tutti i costi. (Ma per metterlo al bando occorre dargli un nome e i nomi a disposizione gira e rigira sono quelli anche se poi non corrispondono alla situazione specifica. Così, negli ultimi anni, l’uso del “vade retro razzista!” ha quasi soppiantato il compianto “lei non sa chi sono io...”) Poi si può ritornare a peccare.
L’ideologia umanitaria ci crea tanti problemi, di adeguatezza, di sicurezza, di coscienza, ai quali noi italiani facciamo fronte convincendoci, sempre più seriamente, che tra tutti i popoli, noi siamo nel profondo buoni.
Non siamo santi, ma siamo buoni. L’i. u. (mi si passino a questo punto le semplici iniziali, in segno di rispetto per un’autorità così elevata) costringerà gli italiani a credere sempre di più nella loro essenziale bontà e a farne un articolo di fede che non ammette smentite. Se smentiti accuseranno i media di fraintenderli e di speculare sulle buone intenzioni con cui hanno commesso uno stupro o sparato sul cane del vicino. Ma i media devono pur indicare qualche cattiveria per invogliarci ad essere più buoni!
L’i. u. ha totalmente soppiantato altre ideologie che lasciavano ai loro seguaci almeno la scappatoia del pentimento e della defezione. Non può permetterlo. Essa accetta come unico rimedio all’errore l’averlo commesso... per un eccesso di bontà.
Del resto, nel cadere da cavallo o incespicare in una pietra un uomo normale può rendersi improvvisamente conto del male che la propria umanità causa e ha causato, ma come può ravvedersi dall’aver sempre e comunque messo l’istinto umanitario al primo posto? L’i.u., sparsa a piene mani tra le tende della tribù Italia, ha provocato un’epidemia che si manifesta con due sintomi principali.
Ansia di essere sempre là dove si offre, e dove la sofferenza fa notizia, e impotenza connessa all’accorrerci, all’esserci, e al non sapere che fare.
Assuefazione alle disgrazie e alle sfortune della bontà e reazione super-umanitaria.
Da queste contraddizioni, naturalmente, non si esce facendo una passeggiata ma incrementando il consumo.
Fermiamoci un minuto a meditare su un fatto. I giornalisti italiani che sono stati uccisi in Bosnia erano finiti sotto tiro perché sentivano come un dovere professionale e quasi una missione il bisogno collettivo di nuova sofferenza e di nuova bontà: di nuovi meriti acquisibili nel riprenderla, farla conoscere e vedere, denunciarla. Infatti, ci informano i giornali, La Stampa del 29/1/94, che i tre giornalisti stavano rientrando nel bunker quando il teleoperatore disse agli altri due, che subito lo seguirono: “Aspettate, voglio ancora riprendere alcuni bambini che stanno giocando sotto le bombe...” Voglio riprendere , per l’esattezza. Non avvertire, rimproverare, dissuadere, scacciare...) Così l’i ...[continua]

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