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Reportage di Fabio Levi
Reportage del viaggio organizzato dalla
Fondazione Langer che da Bolzano, passan-
do per Tuzla e Sarajevo, si è concluso a Sre-
brenica l’11 luglio, nel ventesimo anniversa-
rio del genocidio, quando oltre ottomila uo-
mini furono separati dalle donne e poi ucci-
si e sepolti in fosse comuni.
Bolzano, 2 luglio
Bekir Halilovic: “A Srebrenica il tempo si è
fermato: dopo il massacro dell’11 luglio
1995, si stenta ad accettare che siano tra-
scorsi vent’anni. Noi di Adopt ci siamo dati
il compito di ristabilire legami di fiducia,
ma è un processo molto lento. Fra le altre
nostre iniziative stiamo costruendo un Cen-
tro di documentazione per far rivivere i ri-
cordi di quando anche la nostra era una
bella città. Non mi illudo che il futuro sarà
come prima della guerra, ma meglio di oggi
senz’altro”. Nevena Medic: “Vogliamo dimo-
strare che anche da noi tutto è possibile.
Cerchiamo nuovi modi di vivere insieme,
ma non è facile. La società non è aperta al
dialogo”. Queste parole risuonano al Centro
Trevi, di fronte a una platea attenta. La
Fondazione Langer ha appena presentato il
gruppo di giovani cui ha assegnato il pre-
mio di quest’anno. Il suo nome è Adopt, ap-
punto, e ha sede a Srebrenica, in Bosnia:
dal 2005 opera faticosamente per restituire
un’anima al luogo dove l’Europa ha visto ri-
sorgere dopo cinquant’anni i suoi demoni
più oscuri. L’incontro è il primo momento di
un lungo percorso di memoria rivolto al
presente, organizzato per ricordare i ven-
t’anni dalla scomparsa di Alexander Lan-
ger e dal genocidio che ha marchiato gli ul-
timi giorni della guerra in ex-Jugoslavia:
due storie di dolore compiutesi a pochi gior-
ni di distanza, ma senza relazioni dirette
fra loro. Un rapporto può invece essere cer-
cato oggi, in positivo: fra gli infaticabili
sforzi di Langer per la pace e la convivenza
anche nei momenti peggiori della guerra
nei Balcani, e l’esperienza di Adopt, gruppo
misto di serbi e bosgnacchi attivo oggi per
contrastare il clima di divisione e di odio ve-
nutosi a creare a Srebrenica dopo il trauma
di vent’anni fa. È sera, fa caldo. Il pullman
si riempie. Altri saliranno a Venezia. Altri
ancora ci raggiungeranno lungo il percorso.
Il gruppo è composito. Ci sono i più anziani
che di Langer hanno un ricordo diretto, c’è
chi ha seguito le attività della Fondazione
negli ultimi vent’anni, chi -alcuni sono mol-
to giovani- ha deciso di aggiungersi nelle
ultime settimane. Questa volta la consegna
del premio e gli incontri di studio che l’ac-
compagnano non si svolgeranno a Bolzano,
ma come nel 2014 a Tuzla, Sarajevo e Sre-
brenica. Si vuole in tal modo ripercorrere le
tracce del legame creatosi nei primi anni 90
fra la parte più attiva e solidale dell’Italia
di allora e le sofferenze imposte dalla guer-
ra oltre l’Adriatico, ma in una chiave tutta
diversa. Oggi, fra le ragioni del viaggio, non
sono le emozioni e la condivisione concreta
del dolore a prevalere. C’è anche questo, ma
contano soprattutto le domande sul futuro
nostro e dell’Europa, così pressanti nell’at-
tuale momento di incertezza e di disordine
crescenti: domande cui anche la Bosnia,
pur nella sua forzata marginalità, con i suoi
traumi, le sue speranze e le sue frustrazio-
ni, può offrire un contributo di chiarezza.
Tuzla, 3 luglio
Oggi il protagonista è Langer, nel giorno
dell’anniversario. Sulla piazza principale di
Tuzla il sindaco Jasmin Imamovic gli dedi-
ca una targa -amico di Tuzla, viene defini-
to- e un tiglio appena messo a dimora. È su
una bordura rialzata e si vedrà da lontano.
A un centinaio di metri c’è il monumento
che ricorda i 71 ragazzi uccisi da una gra-
nata delle milizie serbe il 26 maggio 1995.
Dopo quel massacro, il sindaco di allora,
Selim Beslagic, aveva implorato per l’enne-
sima volta l’intervento dell’Europa perché
imponesse la fine del conflitto, e Langer -
che amava quella città e la pace- si era fatto
suo portavoce col presidente francese Chi-
rac alla riunione del Consiglio europeo di
Cannes, inutilmente.
Intanto, all’Hotel Tuzla cominciano gli in-
contri previsti, promossi in collaborazione
dalla Fondazione Langer, dal Forum dei
cittadini di Tuzla, da Tuzlanska Amica,
l’associazione guidata da Irfanka Pasagic,
che dai primi anni 90 non ha mai cessato di
sostenere donne e orfani colpiti dalla guer-
ra. Gli interventi di avvio della conferenza,
pronunciati dagli ospiti bosniaci, si richia-
mano ai valori che il conflitto ha calpestato
e il dopoguerra non ha saputo ristabilire (il
sindaco di Tuzla) e alla tradizione antifasci-
sta proposta come baluardo contro possibili
ricadute nella violenza nazionalista (Vehid
Sehic). Della figura di Langer vengono in-
vece ricordati i tratti che ne fanno tuttora
una presenza di rilievo: il contributo del
suo pensiero alla enciclica ambientalista di
papa Francesco, la sua vocazione nonvio-
lenta sensibile però al dovere di prestare
soccorso -anche attraverso un uso mirato e
limitato della forza- alle vittime di un peri-
colo estremo, le idee sulla convivenza lun-
gamente maturate dal suo Sudtirolo alla
ex-Jugoslavia e divenute riferimento inelu-
dibile per i giovani di Adopt a Srebrenica.
Siamo solo alle prime battute di una di-
scussione che vedrà confrontarsi fra loro
punti di vista ed esperienze maturati in
contesti anche molto lontani fra loro; tutto
questo sotto il segno inevitabile della pre-
carietà, vero tratto distintivo di un paese
povero e trascurato qual è la Bosnia.
Al riguardo basta un piccolo episodio ad
aprire gli occhi di tutti i presenti: improvvi-
samente alcuni in sala si alzano e si avvia-
no preoccupati verso l’uscita; il lampadario
sembra infatti muoversi pericolosamente.
In realtà si tratta solo di un’impressione
provocata dall’aria che agita le decorazioni
malandate del soffitto, ma ci vuole poco a
creare apprensione. D’altra parte, siamo al-
l’Hotel Tuzla, gloria alberghiera dell’era di
Tito ora in piena decadenza, metafora di
una Bosnia ricca di storia ma oggi quanto
mai fragile e isolata nello stesso contesto
balcanico.
Tuzla, 4 luglio
Il convegno entra nel vivo. Intervengono al-
cuni di coloro che insieme a Langer sono
stati protagonisti del Verona Forum, du-
rante la guerra luogo di incontro fra perso-
nalità della società civile radicate nei diver-
si territori della ex-Jugoslavia oramai divi-
sa, e impegnate, malgrado tutto, a mante-
nere un tessuto di relazioni capaci di vali-
care i nuovi confini. Raccontano del passato
Quei cippi bianchi...
il male non è mai lontano da noi,
ma se bussa alla tua porta
è oramai troppo tardi
Motus Danza di Siena
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